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Il problema del lavoro minorile: dall'approccio abolizionista a quello pragmatico

Il lavoro minorile è antico quanto l’umanità; in tutte le epoche e in tutte le società, infatti, i bambini, soprattutto appartenenti alle classi economicamente più deboli, sono stati utilizzati per lavori propri degli adulti senza peraltro che il fenomeno assumesse una connotazione negativa. Il suo emergere come problema sociale risale infatti solo al XVIII e XIX secolo quando, in Europa con l’avvento della Rivoluzione Industriale, numerosi bambini cominciarono ad essere occupati nel neonato settore industriale. Il primo paese che dovette fare i conti con tale problema fu la Gran Bretagna, in cui il livello di occupazione minorile fu più elevato che in ogni altro paese passato e presente, e che, in seguito anche ad una forte pressione dell’opinione pubblica nazionale, fu anche il primo Stato ad elaborare atti legislativi volti a combattere il problema. Si ridussero così gradualmente le ore di lavoro e si migliorarono le condizioni lavorative, fu innalzata l’età di accesso al lavoro e introdotta l’istruzione obbligatoria per i bambini (Factory Act 1878). Il diffondersi del sistema industriale estese il fenomeno e, insieme, il dibattito sulla sua legittimità (favorito dalla mutata sensibilità sociale), anche negli altri paesi europei e negli Stati Uniti i quali, nel giro di un secolo, adottarono politiche analoghe a quelle della Gran Bretagna.
Il periodo di attivismo e di progresso economico che si è avuto nel XIX e nel primo XX secolo, vide una rapida e decisa riduzione del lavoro minorile nelle nazioni industrializzate. A partire da allora, il mondo ha assistito ad una generale crescita economica e ad una relativa prosperità che, sebbene concentrate essenzialmente negli ultimi anni, sono andate oltre l’immaginario collettivo. Ciò nonostante, il lavoro minorile rimane un fenomeno ancora estremamente diffuso nel mondo, con un totale stimato di bambini lavatori pari a circa 217 milioni . Ciò è dovuto al fatto che, col diffondersi dell’industrializzazione, il lavoro minorile, negli anni più recenti, si è esteso ai Paesi in Via di Sviluppo, accentuando un fenomeno già esistente e raggiungendo livelli di intensità e gravità inauditi.
In parte a causa della difficoltà di raccogliere dati sul lavoro minorile e in parte per i forti legami che esso intreccia con altri aspetti (sociali, economici, culturali), le dimensioni del fenomeno sono rimaste per lungo tempo sconosciute. Negli anni Ottanta, in seguito all’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti Fondamentali dell’Infanzia (1989) e ad un insieme di fattori che vanno dalla globalizzazione all’incremento nella raccolta di dati statistici da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), della Banca Mondiale e delle singole nazioni, il mondo ha preso coscienza del fatto che, da un punto di vista mondiale, la situazione del lavoro minorile non era molto migliore di quella che si era avuta in Europa durante la Rivoluzione Industriale. Un gran numero di bambini dei Paesi in Via di Sviluppo, infatti, lavora in industrie o botteghe artigiane, nelle strade e in attività squallide e pericolose per la loro salute e il loro benessere.
Il problema del lavoro minorile quindi, da essere una questione di interesse regionale e nazionale è passato ad essere una questione di rilevanza internazionale. Questo ha avuto due effetti principali. Da una parte l’attenzione internazionale crescente ha favorito la proliferazione di ricerche e studi sul lavoro minorile che hanno migliorato la comprensione del fenomeno e degli effetti dei diversi interventi volti a combatterlo. Dall’altra essa, negli anni più recenti, ha favorito l’affermarsi di nuovi attori (ONG e associazioni che operano sul campo, organizzazioni di bambini lavoratori,ecc…), che hanno introdotto nel dibattito internazionale sul lavoro minorile informazioni, idee e prospettive finora ignorate o non disponibili, rendendolo più complesso e articolato e generando però anche non poche perplessità e contrasti.

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1 INTRODUZIONE Il lavoro minorile è antico quanto l’umanità; in tutte le epoche e in tutte le società, infatti, i bambini, soprattutto appartenenti alle classi economicamente più deboli, sono stati utilizzati per lavori propri degli adulti senza peraltro che il fenomeno assumesse una connotazione negativa. Il suo emergere come problema sociale risale infatti solo al XVIII e XIX secolo quando, in Europa con l’avvento della Rivoluzione Industriale, numerosi bambini cominciarono ad essere occupati nel neonato settore industriale. Il primo paese che dovette fare i conti con tale problema fu la Gran Bretagna, in cui il livello di occupazione minorile fu più elevato che in ogni altro paese passato e presente, e che, in seguito anche ad una forte pressione dell’opinione pubblica nazionale, fu anche il primo Stato ad elaborare atti legislativi volti a combattere il problema. Si ridussero così gradualmente le ore di lavoro e si migliorarono le condizioni lavorative, fu innalzata l’età di accesso al lavoro e introdotta l’istruzione obbligatoria per i bambini (Factory Act 1878). Il diffondersi del sistema industriale estese il fenomeno e, insieme, il dibattito sulla sua legittimità (favorito dalla mutata sensibilità sociale), anche negli altri paesi europei e negli Stati Uniti i quali, nel giro di un secolo, adottarono politiche analoghe a quelle della Gran Bretagna. Il periodo di attivismo e di progresso economico che si è avuto nel XIX e nel primo XX secolo, vide una rapida e decisa riduzione del lavoro minorile nelle nazioni industrializzate. A partire da allora, il mondo ha assistito ad una generale crescita economica e ad una relativa prosperità che, sebbene concentrate essenzialmente negli ultimi anni, sono andate oltre l’immaginario collettivo. Ciò nonostante, il lavoro minorile rimane un fenomeno ancora estremamente diffuso nel mondo, con un totale stimato di bambini lavatori pari a circa 217 milioni 1 . Ciò è dovuto al fatto che, col diffondersi dell’industrializzazione, il lavoro minorile, negli anni più recenti, si è esteso ai Paesi in Via di Sviluppo, accentuando un fenomeno già esistente e raggiungendo livelli di intensità e gravità inauditi. In parte a causa della difficoltà di raccogliere dati sul lavoro minorile e in parte per i forti legami che esso intreccia con altri aspetti (sociali, economici, culturali), le dimensioni del fenomeno sono rimaste per lungo tempo sconosciute. Negli anni Ottanta, in seguito all’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti Fondamentali dell’Infanzia (1989) e ad un insieme di fattori che vanno dalla globalizzazione all’incremento nella raccolta di dati statistici da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), della Banca Mondiale e delle singole nazioni, il mondo ha preso coscienza del fatto che, da un punto di vista mondiale, la situazione del lavoro minorile non era molto migliore di quella che si era 1 “The End of Child Labour: Within Reach” – International Labour Organization - Geneva 2006

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Informazioni tesi

  Autore: Cecilia Luppichini
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze sociali per la cooperazione, lo sviluppo e la pace
  Relatore: Francesco Volpi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 114

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child labour
lavoro minorile
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