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La Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, breve excursus storico (anni 1950 - 1990)

Il lavoro presentato nella tesi in questione prende spunto innanzitutto dalla necessità di colmare il vuoto informativo personale relativo alla essenza della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, alla sua ragion d’essere e al suo modo di realizzarsi e coesistere con le atre attività nel contesto economico e sociale contemporaneo.
La tesi è suddivisa in tre capitoli, più le conclusioni.
•Nel primo capitolo ci si pone in sequenza tre quesiti: “quale povertà?”, “quale sviluppo?”, “quali aiuti?” andando così a sintetizzare in parte quello che è lo sviluppo strutturale di tutto il lavoro. Partendo dalla spiegazione lessicale del termine “povertà” si indica il percorso evolutivo del concetto di privazione che ha costituito il focus degli studi e delle analisi economiche delle politiche di aiuto allo sviluppo approntate nel corso di un cinquantennio.
Allo stesso modo, l’analisi storica dell’evoluzione del concetto di “sviluppo”, (motore primo del miglioramento del tenore di vita di una popolazione nonché mezzo necessario di evoluzione economica) si conclude con l’indicazione dell’attualmente più evoluto indicatore di sviluppo che è l’Indice di Sviluppo Umano (HDI) sorto proprio dall’applicazione nel ramo economico delle indicazioni del su citato economista premio Nobel.
Alla terza domanda si pone risposta mediante la distinzione, per decenni, di quelle che sono state le maggiori trasformazioni avvenute nelle Politiche di Aiuto allo Sviluppo (e quindi nelle forme attuate di Cooperazione) seguendo il corrispondente evolversi delle politiche economiche in auge: la strategia dell’industrializzazione; la valutazione dell’efficacia degli aiuti e l’individuazione dei bisogni essenziali (basic needs); la crisi debitoria e l’aggiustamento strutturale; lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi del Millennio.
•Nel secondo capitolo si affronta il tema della Cooperazione Internazionale a partire dalle sue origini e motivazioni storiche, ricollegate ai maggiori fatti politici ed economici avvenuti nel mondo dal secondo dopoguerra del secolo scorso: la costituzione del sistema ONU, l’applicazione del piano Marshall in Europa, l’avvio della fase di decolonizzazione nei paesi Asiatici, in Africa e nel Sud delle Americhe. Quindi si opera una prima classificazione delle modalità di azione della Cooperazione mediante la più riconosciuta distinzione in Cooperazione bilaterale, C. multilaterale, la C. decentrata. Si passa infine a delineare per grosse linee una seconda classificazione secondo l’indicazione dei maggiori operatori internazionali attivi nello scenario degli aiuti istituzionali: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, le Organizzazioni non Governative. Di questi attori si indica l’origine, il modo e i mezzi dell’attività, il ruolo svolto, nonché le variazioni del peso istituzionale assunto nel corso degli anni nel circuito internazionale.
•Il terzo capitolo, infine, si apre con un ultimo quesito, “quali risultati?”, premessa al tentativo si un sunto critico degli effetti della Cooperazione Internazionale alle soglie di un importante appuntamento: la scadenza degli Obiettivi del Millennio nel 2015. L’analisi prende in esempio cinque modalità di aiuto (le più rilevanti secondo l’approccio esposto da uno dei maggiori critici degli aiuti, l’economista William Easterly) attuate in sequenza a partire dai primi anni ’50 ad oggi. Essi sono: il sostegno agli investimenti, gli incentivi all’istruzione, il controllo della crescita demografica mondiale, la gestione dei prestiti e la riforma strutturale, la cancellazione del debito estero. Di questi si indica la debolezza dell’approccio e la scarsità degli effetti come conseguenza dell’errata applicazione dei principi della teoria economica e in particolare della considerazione del fatto che ogni azione umana, anche e soprattutto quella economica, sia la risposta ad uno stimolo e lo svolgimento di un’azione per il raggiungimento di un proprio tornaconto. La mancata risposta delle realtà economiche individuate come “arretrate” agli aiuti internazionali, nelle loro diverse forme, è letta come una mancanza di corretti incentivi allo sviluppo, tanto per gli operatori che elargiscono gli aiuti – soprattutto finanziari – tanto per le istituzioni chiamate a gestire ed applicare gli interventi, tanto per i destinatari stessi degli aiuti. Mancanza di incentivi che si traduce nel fuorviante aumento dei finanziamenti senza che questi si traspongano in altrettanti concreti progetti di sostegno alle economie deboli, nella presenza esponenziale di comportamenti e attività affetti da corruzione in tutti i livelli di gestione dei fondi, nella utilizzazione dei fondi per progetti diversi da quelli per i quali sono stati stanziati.

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INTRODUZIONE Non sarà di continuo ma quando l’argomento torna in auge, tutti i giorni, dai telegiornali, dai quotidiani ci viene fatto presente che la povertà esiste, ancora. E le immagini di intere popolazioni sfinite da carestie e fame scorrono sui video, facendo breccia nell’animo e nella sensibilità di chi crede, con rassegnazione, che nulla si possa fare per risolvere il problema. Noi figli di questa generazione, e i nostri genitori, siamo cresciuti quasi con la convinzione, per lo meno con l’impressione, che certe immagini, certi racconti, certi mali siano “naturali”, che facciano parte del mondo, che siano nati con l’uomo e che per sempre vivranno al suo fianco. Ma l’estrema povertà, come la intendiamo oggi, fatta di bambini emaciati attaccati al seno arido della loro madre, di corpi esili martoriati da insetti, di scodelle vuote, non esiste da sempre, non nelle proporzioni che attualmente ha raggiunto. Ha una sua origine in un contesto storico databile, segue un suo percorso da secoli, si spera abbia un giorno fine. Quando? I grandi della terra vorrebbero scrivere la parola “fine” entro 5 anni, nel 2015, data in cui verrà varcata la soglia limite indicata per il raggiungimento di uno degli obiettivi sanciti nell’ambito del Millenium Summit firmato a New York nel 2000 dai rappresentanti di 189 paesi, ossia la riduzione della povertà del 50% rispetto i livelli registrati negli ultimi anni del secolo scorso. Si vorrebbe quindi che la povertà più nera diventasse un ricordo, un fenomeno sociologico da studiare e ricordare, non più da combattere. E per questo, attraverso vari percorsi, fatti per lo più di ingenti somme di denaro investite nei programmi di aiuti più disparati si cerca attraverso i mezzi propri della Cooperazione Internazionale allo Sviluppo di arrivare in tempo e vincenti alla data fissata sul calendario del futuro. Nel merito della lotta alla povertà, abbiamo imparato a parlare e disquisire di Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, di questa macchina universalmente diffusa, fatta di decine e decine di Organizzazioni ed Enti Internazionali che operano sul campo, Stati e Organizzazioni Non Governative che raccolgono e stanziano milioni di dollari per far fronte alle esigenze di questi “ultimi” della terra, mondo accademico e star system che si affannano ad escogitare soluzioni più originali ed efficaci ad un fenomeno che per rilevanza economica, sociale, politica ed etica non può passare inosservato. Tutto questo impegno, ma con quali risultati? Non certo quelli auspicati, tant’è che nel 2010 gli spettri di un colossale fallimento dei programmi di aiuti sembrano prendere sempre più consistenza. Perché? C’è dunque qualcosa che non funziona nel “nostro modo di aiutare”. Cosa esattamente? 5

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Informazioni tesi

  Autore: Mariarosaria Francese
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Salerno
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Politiche
  Relatore: Mariarosaria Garofalo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 103

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