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Produttività e crescita: l’Italia in un’analisi comparativa

Questo lavoro prende in esame alcune analisi sui mutamenti che hanno interessato l’economia europea nell’ultimo quindicennio, cogliendo analogie e differenze con le performances degli Stati Uniti nei medesimi periodi e rispetto all’attuale situazione di profonda crisi economica. In particolare nel decennio 1995-2004 è stata notata una sensibile divaricazione tra i principali indicatori dello sviluppo Usa, da una parte, e dei paesi dell’Unione europea, dall’altra. Gli Stati Uniti hanno registrato un forte aumento del tasso di crescita della produttività e del Pil. Gli Stati europei, al contrario, hanno ottenuto risultati deludenti di questi due indicatori. Queste differenze tra Stati Uniti e Europa sono ben visibili se si scompone il tasso di crescita del Pil nel tasso di crescita della popolazione, della quota di popolazione in età da lavoro, del tasso di occupazione e della produttività del lavoro.

A partire dal 2005 alcuni paesi europei hanno cominciato ad avvicinarsi agli States, avviando processi di ristrutturazione e innovazione del settore industriale e dei servizi che hanno portato a alti tassi di crescita della produttività. Ora l’attuale crisi, cominciata negli Stati Uniti nel 2007 e che ha poi investito il Vecchio continente, ha fermato questo processo di rilancio e ha sprofondato l’intera economia mondiale, a partire da una crisi finanziaria, in una spirale di calo della produzione industriale, del Pil e di aumento della disoccupazione dalla quale è difficile stabilire quando se ne uscirà definitivamente e quali saranno a quel punto i rapporti di forza economici fra le diverse aree mondiali. Numerosi piani di stimolo e di rilancio dell’economia sono stati messi in campo da diversi governi, coadiuvati dall’azione delle banche centrali. Negli ultimi mesi alcuni indicatori Usa, come un aumento della disoccupazione più contenuto e buoni tassi di crescita della produttività, e un ritorno a tassi di crescita positivi del Pil in Francia e Germania, sembrano mostrare che queste misure anti crisi cominciano ad avere effetto, soprattutto nei paesi che hanno incentivato di più la ripresa degli investimenti e il processo di innovazione tecnologica.

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2 Dietro le diverse performances 2.1 I quattro fatti stilizzati Per capire e dare una spiegazione a questi risultati si devono esaminare le determinanti ad essi sottese. Come premessa è utile considerare l‟andamento della popolazione. Dalla tabella 1 si nota che il tasso di crescita della popolazione in Italia è stato del 3.6 per cento e questo incremento è dovuto ai flussi migratori: infatti senza di essi avremmo avuto una variazione prossima allo zero, visto che il numero di figli per donna italiana in età fertile (tasso di fecondità) è di poco superiore a 1 (valori minori di due indicano che vi è una tendenza alla riduzione della popolazione, anche se temporaneamente frenata da un invecchiamento della stessa). Negli altri paesi, tranne che in Germania, si sono registrati tassi di crescita della popolazione più alti. Se si guarda alla terza riga della tabella si nota come la quota di popolazione in età da lavoro nel nostro paese si è ridotta del 4.3 per cento nel periodo preso in considerazione. Invece in Francia è rimasta stabile, mentre in Spagna e Usa è aumentata. Una delle conseguenze del marcato invecchiamento della popolazione italiana è il contributo negativo alla crescita del Pil. Bisogna però dire che la relazione è biunivoca: se è vero che la bassa crescita della popolazione non favorisce incrementi del Pil, anche lo sviluppo di un paese influenza a sua volta la dinamica demografica. Su questo sfondo si prendono in considerazione quattro “fatti stilizzati” che si sono verificati in Italia e nei paesi dell‟Ue tra il 1995 e il 2004. Il primo è il consistente aumento dell‟occupazione, che si spiega con una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, dovuta a riforme che hanno modificato la natura e la forma del rapporto lavorativo. In Italia, per esempio, con le riforme Treu e Biagi, è stata estesa la possibilità di ricorrere al lavoro a tempo determinato, alle agenzie interinali e a un gran numero di contratti “anomali”. Un excursus sulla misurazione e il significato dell‟Epl può chiarire meglio questo punto. L‟Epl (employment protection index) viene definito dall‟Oecd (Organisation for cooperation and economic development) come un insieme di norme che regolano l‟interruzione del rapporto di lavoro, limitando la facoltà delle imprese di licenziare i propri lavoratori senza incontrare restrizioni. L‟Oecd costruisce l‟Epl nel seguente modo: a ogni paese viene assegnato un punteggio che misura la protezione dell‟occupazione nelle diverse forme contrattuali esistenti: contratti individuali dei lavoratori permanenti; contratti dei lavoratori temporanei; condizioni poste per i licenziamenti collettivi. Si arriva così a un indicatore che costituisce la media ponderata dei vari punteggi. Per la costruzione dell‟indice si tiene dunque conto di quattro fattori: la difficoltà che le imprese hanno ad effettuare licenziamenti individuali; i costi procedurali; il preavviso; la buonuscita. Vengono prese in considerazione pure le difficoltà delle procedure di licenziamento e la regolamentazione relativa ai lavori temporanei. Ovviamente la protezione 5

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Rollin
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Economia
  Corso: economia politica
  Relatore: Claudio De Vincenti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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