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I vasai di Montelupo del XVI e XVII secolo

Il presente studio tende a dimostrare, sulla base dell'analisi dei documenti cartacei disponibili, che al comprensorio di Montelupo deve essere attribuito un ruolo di notevole importanza nel panorama dei centri di produzione ceramica operanti nel periodo compreso fra il XVI e il XVII secolo.
L'originalità di tale conclusione risiede nella constatazione che dell'attività di produzione ceramica in Montelupo si era perduta la memoria, dall'epoca del suo declino, databile verso la seconda metà del '600, fino ai primi studi del secolo scorso, dei quali siamo debitori a Gaetano Milanesi ed al suo continuatore, Gaetano Guasti, che seppero individuare, nel corso delle loro ricerche archivistiche, le tracce di un insediamento produttivo, altrimenti dimenticato.
La maiolica, che aveva goduto di grande apprezzamento nel corso del Rinascimento, competendo, grazie alle sue vivaci decorazioni, con altri materiali più nobili, quali il peltro ed altri metalli, più o meno preziosi, fu relegata ad un ruolo ben più modesto con il diffondersi in Europa della produzione di porcellane, fino ad allora esclusivamente importate dal mitico Oriente,
Fra i centri di produzione analizzati nei primi studi, non compariva Montelupo come centro produttivo di maioliche, e, se si considera che proprio i primi ceramisti di Cafaggiolo (la celebre fabbrica medicea) provenivano da Montelupo, è incomprensibile che nessun altro studioso vi abbia mai fatto prima riferimento.
Per comprendere i motivi della sottovalutazione della produzione montelupina, dobbiamo considerare che i maestri maiolicari non avevano la consuetudine di firmare le loro opere e che, nonostante una presunta "segretezza" delle tecniche produttive, le maioliche dei vari centri ceramici italiani risultano caratterizzate da una notevole uniformità, che ci svela come la smania di primeggiare comportasse l'appropriazione dei progressi gradualmente raggiunti da altri.
In tale mancanza di certezze per l'attribuzione delle opere rimasteci, è stato naturale sopravvalutare alcuni centri produttivi, a scapito di altri, per motivi non del tutto razionali, quali, ad esempio, il fatto che né il Piccolpasso né il Vasari, abbiano mai fatto riferimento alle ceramiche prodotte a Montelupo. Al contrario, la presenza di argille e di abbondante legname per l'alimentazione del fuoco delle fornaci favorì il prosperare dell'attività ceramica a Montelupo, dove, alla fine del XV secolo, l'incremento di produzione coincise con la progressiva rarefazione dei produttori del capoluogo, Firenze, per i più vari motivi, dai maggiori costi di produzione, al fatto che risultavano fastidiosi i fumi delle fornaci, che costituivano anche una probabile causa di incendi.
Come vedremo, nel corso di questo studio è stato possibile identificare ben 574 ceramisti operanti a Montelupo nell'arco dei secoli XVI e XVII. E' un numero rilevante, se si considera che nel 1552 il castello contava solo 102 famiglie con 469 abitanti, nel 1562 131 famiglie con 562 abitanti e, nel 1661, le famiglie risultavano essere 135.
E' quindi opportuno, nel contesto di una costante opera di rivalutazione della produzione ceramica di Montelupo, approfondire l'analisi della realtà produttiva che in quella località raggiunse livelli impensabili in altre zone.
In mancanza, come abbiamo già detto, di marchi distintivi che consentano una corretta riclassificazione delle opere ceramiche tramandateci, possiamo disegnare un profilo del mondo ceramico di Montelupo attraverso l'analisi dei documenti cartacei esistenti, dai quali non potremo individuare il livello qualitativo raggiunto dalle varie botteghe, ma ci sarà possibile quantificare la consistenza degli addetti alla produzione ceramica nel comprensorio montelupino, il volume della produzione, le tipologie prodotte, le forme di commercializzazione, le materie prime impiegate e tutti gli altri fatti economicamente rilevanti.

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4 INTRODUZIONE Il presente studio tende a dimostrare, sulla base dell' analisi dei documenti cartacei disponibili, che al comprensorio di Montelupo deve essere attribuito un ruolo di notevole importanza nel panorama dei centri di produzione ceramica operanti nel periodo compreso fra il XVI e il XVII secolo. L'originalità di tale conclusione risiede nella constatazione che dell'attività di produzione ceramica in Montelupo si era perduta la memoria, dall'epoca del suo declino, databile verso la seconda metà del '600, fino ai primi studi del secolo presente, dei quali siamo debitori a Gaetano Milanesi ed al suo continuatore, Gaetano Guasti, che seppero individuare, nel corso delle loro ricerche archivistiche, le tracce di un insediamento produttivo, altrimenti dimenticato. 1 La maiolica, che aveva goduto di grande apprezzamento nel corso del Rinascimento, competendo, grazie alle sue vivaci decorazioni, con altri materiali più nobili, quali il peltro ed altri metalli, più o meno preziosi, fu relegata ad un ruolo ben più modesto con il diffondersi in Europa della produzione di porcellane, fino ad allora esclusivamente importate dal mitico Oriente, Solo nello scorso secolo, la sensibilità ed il gusto di accorti studiosi e collezionisti seppero riscoprire il perduto fascino delle maioliche, iniziandone lo studio ed avviandone la classificazione su base organica, tentando di individuarne il luogo di produzione e l'origine. La maggior parte delle maioliche appariva priva di marche od altri contrassegni che ne consentissero una sicura collocazione. Questa insufficienza, unita ad un certo spirito campanilistico, portò alla esaltazione di alcuni luoghi di produzione, a scapito di altri, favorita anche dalla uniformità delle decorazioni e dei materiali impiegati sulla maggior parte dei reperti. Alcuni pezzi, tuttavia, spiccavano per l' inconfondibile livello qualitativo delle pitture e dei materiali impiegati, ma le marcature sul loro retro riportavano una non meglio precisata bottega o località, indicata, di volta in volta, con bizzarria ortografica, come Chafagguolo, Chafaggiuolo, Chafagiuollo, Cafagiollo, Gafaciolo, Gafagiollo, località, comunque, non individuabile fra i centri di produzione conosciuti. Nel 1880, Carlo Malagola, pubblicando le "Memorie sulle maioliche di Faenza", nell'intento di attribuire alla sua città il primato della produzione di maiolica, inserì tali belle, ma misteriose, maioliche fra quelle uscite dalle botteghe faentine, tentando di avvalorare l'esistenza della bottega di un certo Guido Faxolus, che un documento del 1530 indicava come lavorante ad exercitium figuli de terra super rotam, ossia un lavorante al tornio, dal cui nome il Malagola ipotizzava l'origine della marca Ca faxolo oppure Ca fasolo. Tale teoria apparve immediatamente indifendibile e suscitò un turbine di polemiche fra numerosi studiosi, fra i quali Luigi Frati, che nello stesso 1880 pubblicò un articolo su "Nuova Antologia" e A. Genolini, che, nel 1882, scrisse "Le maioliche di Cafaggiolo e della casa Fasoli", ambedue confutando la teoria del Malagola, solo in forza di logica, senza poter contrapporre teorie alternative suffragate da prove. Negli anni seguenti, iniziò a diffondersi la notizia che Gaetano Milanesi, Accademico della Crusca, esaminando documenti dell' Archivio di Stato fiorentino, aveva potuto risolvere l'enigma dell'origine delle maioliche di Cafaggiolo, ma i documenti probatori non venivano messi a disposizione degli altri studiosi, in attesa della definitiva stesura del libro che il Milanesi aveva intenzione di pubblicare. Nel 1888, durante lavori di assestamento di una scaletta segreta nella villa medicea di Cafaggiolo (nel Mugello fiorentino), vennero rinvenuti frammenti di ceramica, che il proprietario dell'epoca, il principe Marcantonio Borghese, affidò allo studio del prof. Piancastelli, che ritenne opportuno farli pervenire al conservatore della pinacoteca di Faenza, Federigo Argnani, 1 G. Guasti, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramica in Toscana, Firenze 1902

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Piccardi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1991-92
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Bruno Dini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 345

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