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Il Pubblico Ministero in epoca fascista

“Senza indipendenza dei giudici non è possibile giustizia: in tutti i tempi e in tutti i luoghi la storia dell’ordinamento giudiziario e del processo civile e penale si identifica colla storia della indipendenza della magistratura. La civiltà dei popoli e la forza degli Stati si misura non tanto dalla bontà delle leggi che li reggono, quanto dal grado di indipendenza raggiunto dagli organi che queste leggi sono chiamati ad applicare.” Questo celebre discorso di Calamandrei1 sottolinea l’importanza di una delle questioni più dibattute e controverse della storia, nonchè uno dei nodi cruciali di questo lavoro.
A 150 anni dall’Unità, l’indipendenza della magistratura, e in particolare del Pubblico Ministero, è ancora argomento di attualità ed oggetto di discussioni parlamentari e la riforma della giustizia viene ancora sentita come una necessità palpabile e viva. Si tratta di una necessità vecchia quanto il nostro paese che abbisogna di essere affrontata in modo asettico, senza farsi trascinare dalle passioni politiche e coinvolgendo tutti i rappresentanti del popolo. E’ lapalissiano che un siffatto modus operandi rappresenta un ostacolo non indifferente per addivenire in tempi rapidi ad un cambiamento,soprattutto in un paese, come il nostro, dove l’instabilità governativa è un male cronico. Tale limite è stato sicuramente una delle cause principali di un riformismo inconcludente che si è trascinato sino agli albori dell’epoca fascista. Tanti progetti e riforme si accavallarono infatti nei primi 50 anni di vita dell’Italia, ma mai si osò stravolgere il sistema giudiziario ereditato dalla Francia napoleonica. In epoca fascista poi, quando non c’erano di certo problemi di instabilità governativa, il regime preferì lasciar correre, consapevole che i “difetti” della giustizia potevano essere sapientemente utilizzati per far prevalere gli interessi del partito.
Questo lavoro si pone due obiettivi fondamentali: affrontare le vicende che hanno avuto come protagonista il sistema giudiziario perfezionatosi in epoca fascista, ed ereditato dallo Stato liberale, facendo particolare riferimento al magistrato che più di tutti era legato all’esecutivo: il Pubblico Ministero; analizzare le funzioni, l’organizzazione ed i rapporti di questi con l’esecutivo negli anni del mussolinismo. A questi due obiettivi ne va aggiunto un terzo implicito legato alla nobile funzione della storia del diritto: cogliere il bene e il male dell’esperienza umana per recepire principi e valori in grado di migliorare la nostra convivenza. Se ancor oggi quello della giustizia ci appare come un problema di difficile soluzione, l’esperienza umana ci indicherà la strada da seguire affinchè un domani lo potremmo classificare come un lontano ricordo da rispolverare ogni volta che ci saranno rischi di regressione.
L’analisi è stata condotta con una ricercata imparzialità, avulsa da sentimenti politici che possono facilmente smarrire lo scrittore quanto il lettore. Piuttosto si è cercato di dare ampio spazio a un confronto tra i più importanti giuristi che hanno calcato il palcoscenico della storia del nostro paese fino alla nascita della Repubblica. Dando adito anche a teorie spregiudicate si è voluto prendere le distanze da quella scontata contrapposizione tra bene e male, tra giusto e ingiusto, tra equo e iniquo che a volte viene utilizzata per analizzare, in modo piuttosto superficiale e patriottico, il fenomeno del fascismo. Lungi dal voler sostenere regimi totalitari, bisogna pur riconoscere che nel periodo fascista sono nati quei codici che, anche se debitamente modificati, regolano ancora oggi la vita della società italiana. Codici che sin dalla loro nascita erano impreziositi da principi e disposizioni che rappresentano delle conquiste importanti per il diritto. Sarebbe riduttivo catalogare come antidemocratico l’intero prodotto della lunghissima legislatura fascista.

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1   1. Introduzione “Senza indipendenza dei giudici non è possibile giustizia: in tutti i tempi e in tutti i luoghi la storia dell’ordinamento giudiziario e del processo civile e penale si identifica colla storia della indipendenza della magistratura. La civiltà dei popoli e la forza degli Stati si misura non tanto dalla bontà delle leggi che li reggono, quanto dal grado di indipendenza raggiunto dagli organi che queste leggi sono chiamati ad applicare.” Questo celebre discorso di Calamandrei 1 sottolinea l’importanza di una delle questioni più dibattute e controverse della storia, nonchè uno dei nodi cruciali di questo lavoro. A 150 anni dall’Unità, l’indipendenza della magistratura, e in particolare del Pubblico Ministero, è ancora argomento di attualità ed oggetto di discussioni parlamentari e la riforma della giustizia viene ancora sentita come una necessità palpabile e viva. Si tratta di una necessità vecchia quanto il nostro paese che abbisogna di essere affrontata in modo asettico, senza farsi trascinare dalle passioni politiche e coinvolgendo tutti i rappresentanti del popolo. E’ lapalissiano che un siffatto modus operandi rappresenta un ostacolo non indifferente per addivinire in tempi rapidi ad un cambiamento,                                                               1 P. CALAMANDREI, Opere giuridiche, Vol. II, Morano editore, Napoli, 1966.

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Informazioni tesi

  Autore: Piero Peluso
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli studi di Napoli "Parthenope"
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Dario Luongo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 169

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