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Autocostruzione: casi, pratiche, politiche

Perché si continua a costruire anche se la popolazione non cresce? “Perché c’è un Paese da mandare avanti”. “Ma avanti dove?” – “Non importa, l’importante è andare avanti”. E non importa neanche che ci siano sette appartamenti liberi per ogni italiano senza una casa?
Perché uno non può essere autorizzato a costruirsi una casa quanto più vicina
possibile al suo ideale ma è invece obbligato a comprarsela identica a tutte le altre?
Perché in Italia è in corso un processo che sta aumentando il divario tra quanti patiscono un disagio abitativo anche grave e quanti invece hanno a disposizione più case di quante non ne abbiano bisogno?
L’autocostruzione costituisce ormai una via per ottenere alloggi più sostenibili dei tradizionali sia ecologicamente che economicamente, generando allo stesso tempo delle esternalità positive e virtuose sui piani sociologico e psicologico che non si devono trascurare.
L’unico impedimento, probabilmente, nasce quindi sul piano politico. Al potere, per come si è costituito ed affermato in Italia nel secondo dopoguerra, risulta oltremodo scomodo un approccio individualista al problema dell’alloggio, che gli sottragga la possibilità di esercitare quel potere che lo caratterizza. Un potere che – tra l’altro – negli anni si è evoluto da esplicito e fisico ad implicito con un'alta valenza “intellettuale”.

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-  - Introduzione Credo che negli ultimi anni dire di essere uno studente di urbanistica sia diventata una delle risposte peggiori che si possono dare quando la gente chiede “Cosa fai?”. Si può essere fortunati, incontrare un interlocutore che non abbia idea di che cosa sia e di solito, se magari si ha fretta, ce la si può cavare con una breve spiegazione che culminerà con un avvincente “Progetto rotonde!”, cui è impossibile controbattere. Ma può anche andare male. Può capitare di incontrare una persona non del settore ma vagamente informata circa l’oggetto dello studio di tale disciplina, del suo ruolo, delle sue responsabilità, dei suoi meriti e delle sue colpe. E qui iniziano i problemi. Se non si sono preventivamente prese le dovute contromisure retoriche, probabilmente a quel punto la conversazione scivolerà in una lista delle peggiori malefatte urbanistiche che hanno coinvolto, coinvolgono, o stanno per coinvolgere la città in cui la conversazione avviene, e allo studente sarà più o meno gentilmente chiesto di darne conto. A quel punto, o la sua eloquenza o la sua coerenza saranno messe a dura prova. Egli avrà due opzioni: inondare l’interlocutore di vacui termini tecnici in rapida successione sperando di annichilirlo di fronte a tanta scienza oppure, riscoprendo il suo più amichevole lato empatico, allargare le braccia in uno sconsolato “Non lo so”. In cuor suo lui saprà che di fatto quei condomini fatiscenti, quegli altri in costruzione poco distanti, quelle auto brulicanti, sono il progresso. Sono la città stessa. Ma la città è anche il luogo dove si trovano i servizi rari, le più alte densità di popolazione, i gangli del governo cioè i dipartimenti e gli enti che a vario titolo fanno funzionare anche tutto il resto del mondo, tutto quello che città non è e che – auspicabilmente – mai sarà. Come si concilia tutto questo? Perché si continua a costruire anche se la popolazione non cresce? “Perché c’è un Paese da mandare avanti”. “Ma avanti dove?” – “Non importa, l’importante è andare avanti”. E non importa neanche che ci siano sette appartamenti liberi per ogni italiano senza una casa? Perché uno non può essere autorizzato a costruirsi una casa quanto più vicina possibile al suo ideale ma è invece obbligato a comprarsela identica a tutte le altre?

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea Cesare Moretto
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università IUAV di Venezia
  Facoltà: Pianificazione del Territorio
  Corso: Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale
  Relatore: Francesca Gelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 220

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Parole chiave

erp
gramsci
politiche
potere
pratiche
autocostruzione
disagio abitativo
tecnologie facilitate
rete sociale informale
foucault

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