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Autismo: difficoltà socio-comunicative e metodi di riabilitazione

Nel corso degli ultimi anni stiamo sempre più assistendo ad un notevole aumento di casi di bambini affetti dal disturbo autistico in quanto ha suscitato l’attenzione anche dei mass media facendo emergere un allarmismo da parte delle famiglie che si trovano a imbattersi in questo nuovo mondo a loro sconosciuto, quello dell’autismo appunto.

Il primo a parlare di questo disturbo fu Leo Kanner, un medico del John Hopkins Hospital, che nel 1943 aveva riconosciuto questo disturbo in 11 pazienti presso l’ospedale in cui lavorava; egli aveva notato nei pazienti delle anormalità che lo conducevano a pensare che si trattasse di un problema neurologico. Inizialmente, aveva sostenuto erroneamente, che l’autismo fosse una particolarità appartenente alla classe sociale elevata; egli stesso successivamente notò che tale disturbo poteva colpire allo stesso modo soggetti appartenenti a tutte le classi sociali e riconobbe quindi, di aver commesso un errore.

Ma cos’è essenzialmente l’autismo?
Il termine autismo deriva dal greco autòs (sé stesso) e da ism (stato) , ciò significa: stato di chiusura in se stessi, la negazione dell’altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà. Tale disturbo è un particolare bisogno educativo oggetto di costante ricerca della Pedagogia speciale che da sempre si occupa della disabilità e delle tecniche d’intervento per l’inclusione sociale rivolte ai contesti didattici ed educativi. Gli studi affrontati sinora affermano che il cervello dei bambini autistici si sviluppa nei primi due anni in maniera molto prematura per giungere ad una vera e propria stabilizzazione; durante l’adolescenza non si evidenziano particolari differenze fisiche di sviluppo rispetto ai coetanei “normali”, eccetto la circonferenza del cranio (leggermente più grande negli autistici) dovuta allo sviluppo troppo prematuro avvenuto nell’età infantile; da ciò ne consegue un disordine nel sistema cerebrale determinando una serie di anomalie e deficit mentali e sociali.

Esso inizia a manifestarsi intorno ai tre anni di vita ed è caratterizzato da una significativa compromissione delle diverse aree di funzionamento che riguardano: il linguaggio, le interazioni sociali, comunicative e affettive. Nel bambino affetto d’autismo può presentarsi un ritardo o una totale mancanza dello sviluppo del linguaggio che spesso si manifesta in modo ripetitivo e stereotipato; può mostrare una vasta gamma di sintomi comportamentali come: iperattività, impulsività, scarso mantenimento dell’attenzione e talvolta anche aggressività. I pazienti mostrano una vasta gamma di manifestazioni che costituiscono il variegato panorama di espressioni cliniche dell’autismo; da ciò ne deriva che nello stesso individuo non sono sempre presenti tutti i sintomi contemporaneamente, e gli stessi sintomi hanno peso e significato diverso da soggetto a soggetto.

Un tempo ci si riferiva all’autismo come a una malattia non guaribile; in realtà si è visto che una corretta diagnosi precoce, un intervento personalizzato e integrato,e un’attenzione sugli aspetti educativi, possono condurre, soprattutto nelle forme più lievi, a un esito positivo, purché ci sia una frequenza dell’intervento e una corretta integrazione tra servizi sanitari e sociali durante il percorso evolutivo e nel delicatissimo passaggio all’età adulta.

Il seguente lavoro si propone di affrontare le problematiche dell’insufficienza comunicativa, psichica e relazionale di tale disturbo mettendo in evidenza una serie di validi approcci e linee guida da attuare per sostenere ed accompagnare il bambino autistico in tutto il suo percorso di vita.

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INTRODUZIONE Nel corso degli ultimi anni stiamo sempre più assistendo ad un notevole aumento di casi di bambini affetti dal disturbo autistico in quanto ha suscitato l’attenzione anche dei mass media facendo emergere un allarmismo da parte delle famiglie che si trovano a imbattersi in questo nuovo mondo a loro sconosciuto, quello dell’autismo appunto. Il primo a parlare di questo disturbo fu Leo Kanner, un medico del John Hopkins Hospital, che nel 1943 aveva riconosciuto questo disturbo in 11 pazienti presso l’ospedale in cui lavorava; egli aveva notato nei pazienti delle anormalità che lo conducevano a pensare che si trattasse di un problema neurologico. Inizialmente, aveva sostenuto erroneamente, che l’autismo fosse una particolarità appartenente alla classe sociale elevata; egli stesso successivamente notò che tale disturbo poteva colpire allo stesso modo soggetti appartenenti a tutte le classi sociali e riconobbe quindi, di aver commesso un errore. Ma cos’è essenzialmente l’autismo? Il termine autismo deriva dal greco autòs (sé stesso) e da ism (stato) , ciò significa: stato di chiusura in se stessi, la negazione dell’altro e di ciò che è differente da sé, e quindi la mancanza del senso della realtà. Tale disturbo è un particolare bisogno educativo oggetto di costante ricerca della Pedagogia speciale che da sempre si occupa della disabilità e delle tecniche d’intervento per l’inclusione sociale rivolte ai contesti didattici ed educativi. Gli studi affrontati sinora affermano che il cervello dei bambini autistici si sviluppa nei primi due anni in maniera molto prematura per giungere ad una vera e propria stabilizzazione; durante l’adolescenza non si evidenziano particolari differenze fisiche di sviluppo rispetto ai coetanei “normali”, eccetto la circonferenza del cranio (leggermente più grande negli autistici) dovuta allo sviluppo troppo prematuro avvenuto nell’età infantile; da ciò ne consegue un disordine nel sistema cerebrale determinando una serie di anomalie e deficit mentali e sociali.

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Informazioni tesi

  Autore: Ilenia La Licata
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università Telematica Pegaso
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Generosa  Manzo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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