Dalla storia alla stagione craxiana del partito socialista italiano (P.S.I.): trionfo e crisi fra marxismo, socialdemocrazia e riformismo socialista liberale, di una storia politica secolare della sinistra italiana
Il lavoro che si è cercato di svolgere ha mirato, eminentemente, a tentare di ricostruire la storia del socialismo italiano nell’ambito della sinistra italiana nel corso del volgere di un secolo di storia italiana. Centrale in tale studio è stata l’analisi della storia partitica e governativa del P.S.I. – analisi mai disgiunta da quella delle altre formazioni partitiche di sinistra pur, per lo più, dal P.S.I. stesso sorte.
Il lavoro è stato suddiviso in due diverse epoche. Quella relativa all’evoluzione del “socialismo” italiano (intendendo per socialismo: sia quello in senso stretto, il P.S.I.; sia quello rappresentato, in senso lato, da P.S.D.I., P.S.I.U.P., P.C.I. e finanche dai settori “di sinistra” della D.C.) a far data dal 1892 fino alla c.d. “svolta del Midas” – attuata dal nuovo capo degli autonomisti del P.S.I., Bettino Craxi. E, inoltre, quella relativa al periodo storico che va dal ’76 ai primi anni Novanta ed in cui si mostrò, si sviluppò e finì l’apogeo del P.S.I. di Craxi.
La stretta correlazione sussistente fra la prima parte del lavoro e la seconda (seconda parte che ha, per l’appunto, tutte o quasi le premesse giustificatrici nella prima) ha suggerito allo scrivente di dare corso ad un lavoro che non fosse centrato sulla sola “stagione craxiana” del P.S.I. – con al più una breve premessa sul P.S.I. pre-craxiano. Il filo conduttore che fa da collante al lavoro è, infatti: la diatriba storica interna alla sinistra italiana (e, dunque, allo stesso socialismo italiano) fra sostenitori del marxismo (marxismo-leninismo o sue varianti) e sostenitori del riformismo, o meglio, fra quanti argomentavano la necessità di un socialismo fondato, eminentemente, sulle tesi di Marx, da un lato, e quanti invece sostenevano una visione “socialdemocratica” o addirittura socialista liberale (alla Rosselli) del socialismo stesso. Tenendo ovviamente in conto e considerando tutti i casi intermedi e le posizioni “moderate”, eterodosse dell’una o dell’altra teoria.
La stagione craxiana del P.S.I. (con la sua involuzione nella crisi etica e nella questione giudiziaria del socialismo italiano), che è stata anche la stagione in cui si sono registrate sia la fine del comunismo sovietico, sia anche la mancata evoluzione piena, potremmo dire, in senso “migliorista” della leadership del P.C.I. – P.D.S., ed ancora, anche quella in cui, in casa D.C., la corrente “di sinistra” del partito è stata posta ai margini dai settori più conservatori (e più invischiati nella gestione del potere poi sotto inchiesta), evidenzia l’ennesima e forse più importante occasione (dopo quella di metà anni ’70, del ’68 e del “centro-sinistra”, quella del ’56, quella del II dopoguerra, quella pre - marcia, ecc.) mancata da parte della sinistra italiana per costruire una forza socialista democratica “alternativa” e “di sistema” rispetto alle forze conservatrici che, di fatto, senza soluzione di continuità, hanno gestito il Paese dall’Unità sino al ’92-’94 (attirando a se e coinvolgendo pure forze importanti della sinistra direttamente o, indirettamente, con ipotesi di consociativismo). Una diversa configurazione della solidarietà democratica ovvero dell’alternativa di sinistra, avrebbe permesso il raggiungimento della presenza in Italia di un partito socialdemocratico non solo nei fatti, come è stato in buona sostanza il P.C.I. dalla fine dei ’70, ma anche nei principi fondativi e nella “denominazione” – che è stato poi quanto invece aveva realizzato il “primo” Craxi, con l’ausilio degli Amato, dei Bobbio, dei Ruffolo, dei Giugni, ecc. e sulla scorta di insegnamenti che andavano da quelli “riformisti - autonomisti” dei Turati, dei Nenni, dei Pertini, ecc., ai contributi, “più a sinistra” dei Tasca, dei Giolitti, dei Lombardi, e così via.
Il lavoro vuole evidenziare così i limiti dell’azione e del programma riformatore del P.S.I. – non solo di quello “craxiano”, ma anche di quelli che, nel tempo, lo hanno preceduto. Indirettamente si porranno poi, per logica conseguenza, in evidenza anche i limiti di altri importanti portatori, più o meno consapevoli, del “verbo” socialdemocratico. E cioè i limiti: dell’azione de i miglioristi e, soprattutto, del “centro” comunista, da un lato e quelli dei democristiani della sinistra interna al partito cattolico dall’altro.
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio D'onofrio |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia contemporanea |
Relatore: | Giorgio Caredda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 237 |
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