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Profili giuridici della partecipazione della Comunità Europea all’OMC: l’evoluzione delle competenze esterne

Nella trattazione della tesi da me svolta ho voluto mostrare l’evoluzione della politica commerciale comune, delle competenze economiche esterne e le problematiche a esse connesse, con particolare riferimento all’Accordo OMC (WTO). Ho tentato di mostrare, inoltre, come non si sia riusciti, dopo lunghe ed estenuanti diatribe sia nelle sedi istituzionali, sia all’infuori di esse, ad allargare le competenze in materia di relazioni economiche esterne della Comunità in modo da rispondere più efficacemente alle esigenze di governabilità provenienti da un mondo sempre più interconnesso.
La politica commerciale comune è stata concepita sul finire degli anni cinquanta, in un’epoca in cui i diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio e, principalmente, i servizi costituivano un elemento marginale dei traffici commerciali internazionali.
Nel corso del tempo, come la stessa Corte di Giustizia ha rilevato, i servizi hanno assunto un ruolo sempre maggiore, costituendo quasi l’attività principale dei Paesi industrializzati, fino ad essere definitivamente trattati alla stregua dei beni nel risultato finale dell’Uruguay Round, l’Accordo OMC.
Questo accordo configura un approccio unitario al commercio mondiale dimostrando il collegamento tra i tre settori, beni, servizi e diritti di proprietà intellettuale connessi al commercio.
La Corte di Giustizia, chiamata a fornire un parere (1/94) sulla competenza a stipulare l’Accordo OMC, ha prodotto un documento che ha dato origine a numerose critiche, nonché fornito diversi spunti di riflessione.
L’assenza di un articolo del Trattato che definisse in maniera univoca la piena competenza della CE nel settore esterno è risultata particolarmente grave alla luce del parere 1/94, che, in ultima analisi, stabilisce che la competenza a stipulare gli accordi GATS e TRIPs è ripartita tra Comunità e Stati membri, mentre è esclusivamente comunitaria per l’accordo GATT: numerosi sono stati i problemi aperti da una siffatta statuizione, il più importante tra i quali è quello relativo all’esigenza dell’unità di rappresentanza all’esterno e dell’unità di azione della Comunità.
Le difficoltà nel gestire e delimitare le relazioni tra le due parti – Stati membri e istituzioni comunitarie – nell’ambito delle competenze ripartite, si sono rese evidenti anche dalla gestazione lunga e laboriosa di un codice di condotta, mai giunto a maturazione.
Il problema di una competenza congiunta tra Comunità e Stati membri rileva sia durante i negoziati in seno all’OMC, creando le premesse per un indebolimento del potere negoziale della Comunità, sia nel meccanismo di “ritorsione incrociata” previsto dall’art. 22 dell’“Intesa relativa alla soluzione delle controversie”.
Altre questioni affiorano dall’esistenza della competenza ripartita:
- nei settori a competenza mista sussisterebbe un vero e proprio potere di veto spettante alla Comunità e agli Stati membri, che potrebbe portare a una paralisi del processo decisionale;
- non vi sono clausole sulla competenza, sicché la ripartizione delle competenze avrebbe solo valenza interna con la conseguenza che, di un eventuale inadempimento dell’Accordo OMC, gli Stati Membri e la Comunità potrebbero essere ritenuti egualmente responsabili nei confronti degli Stati terzi;
- la divisione delle competenze prospettata dalla Corte può produrre incertezze negli Stati terzi, che potrebbero percepire rischioso il negoziare con la Comunità;
- la stessa divisione delle competenze potrebbe minare l’unità della Comunità, di cui si potrebbero avvantaggiare i Paesi terzi come qualche contenzioso ha mostrato;
- infine, non si comprende quale sia l’estensione del potere interpretativo della Corte di Giustizia sull’Accordo OMC: la sua competenza pregiudiziale potrebbe essere considerata indispensabile per garantire l’uniformità di interpretazione e attuazione dell’accordo all’interno della Comunità, impedendo che alla stessa vengano imputate da Stati terzi responsabilità in caso di violazioni commesse dai suoi Membri.
Attualmente è in atto un processo di revisione dei Trattati in seno alla Convenzione europea: grandi e legittime sono le aspettative, ma l’orientamento generale della Convenzione non sembra rivolto verso una profonda e necessaria revisitazione dell’intero impianto delle competenze esterne dell’Unione/Comunità.
L’attuale sistema della politica commerciale comune non garantisce dai rischi di una possibile frantumazione del blocco comunitario poiché mantiene – e, in parte, reintroduce con il Trattato di Nizza – le prerogative degli Stati membri e, di conseguenza, il voto all’unanimità in diversi settori del commercio.

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INTRODUZIONE Con la seguente trattazione si vuole mostrare l’evoluzione della politica commerciale comune, delle competenze economiche esterne e le problematiche a esse connesse, con particolare riferimento all’Accordo OMC. Si vuole mostrare, inoltre, come non si sia riusciti, dopo lunghe ed estenuanti diatribe sia nelle sedi istituzionali, sia all’infuori di esse, ad allargare le competenze in materia di relazioni economiche esterne della Comunità in modo da rispondere più efficacemente alle esigenze di governabilità provenienti da un mondo sempre più interconnesso. La politica commerciale comune è stata concepita sul finire degli anni cinquanta, in un’epoca in cui i diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio e, principalmente, i servizi costituivano un elemento marginale dei traffici commerciali internazionali. Nel corso del tempo, come la stessa Corte di Giustizia ha rilevato, i servizi hanno assunto un ruolo sempre maggiore, costituendo quasi l’attività principale dei Paesi industrializzati, fino ad essere definitivamente trattati alla stregua dei beni nel risultato finale dell’Uruguay Round, l’Accordo OMC. Questo accordo configura un approccio unitario al commercio mondiale dimostrando il collegamento tra i tre settori, beni, servizi e diritti di proprietà intellettuale connessi al commercio. La Corte di Giustizia, chiamata a fornire un parere (1/94) sulla competenza a stipulare l’Accordo OMC, ha prodotto un documento che ha dato origine a numerose critiche, nonché fornito diversi spunti di riflessione. L’atteggiamento della Corte rifletteva un clima ostile all’espansione delle competenze della Comunità, anche se motivazioni di carattere economico e pratico richiedevano scelte diverse. Il clima politico, d’altronde, non favoriva scelte coraggiose: durante il vertice di Maastricht la proposta della Commissione di estendere l’art. 113 CEE a tutte le relazioni economiche esterne e non solo a quelle strettamente attinenti al mercato dei beni, fu bocciata. Nello stesso vertice fu abrogato anche l’art. 116 CEE, un utile strumento di coordinamento che imponeva agli Stati Membri di condurre «unicamente un’azione comune nell’ambito delle organizzazioni internazionali».

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Informazioni tesi

  Autore: Alberto Afflitto
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2001-02
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Fabio Bassan
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 280

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Parole chiave

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comitato 133
competenza esterna
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obbligo di cooperazione
parere 1/94
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