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Il “caos” libico: legittimità plurime nel post-rivoluzione

Le relazioni italo-libiche

Italia e Libia vantano relazioni bilaterali di lunga data che fondano le proprie radici agli inizi del Novecento, quando il paese nordafricano entrò a far parte dell'allora Regno d'Italia divenendone una colonia fino al 1947.

In seguito alla perdita della propria colonia con il trattato di pace che pose fine alla Seconda guerra mondiale, l'Italia mantenne buoni rapporto con il re Idris e un buon numero di italiani rimasero in Libia occupando posizioni privilegiate nell'amministrazione e nell'economia. Tuttavia, nel 1970, in seguito alla presa di potere di Muammar Gheddafi, questi stessi italiani furono espulsi dal paese e i loro beni espropriati, mentre il regime diede avvio a una retorica molto dura contro l'Italia, insistendo sulla necessità che Roma formulasse scuse ufficiali e predisponesse gli opportuni risarcimenti. Nondimeno, proprio in questo periodo furono anche poste le basi per lo sviluppo di ottime relazioni economico - commerciali tra i due paesi. Per ragioni storiche e interessi economici ed energetici, dunque, l'Italia è sempre stata un partner privilegiato della Libia.

Nonostante l'inizio difficile a causa della richiesta dei risarcimenti, le relazioni tra i due paesi continuarono positivamente per tutti gli anni Settanta, tanto che Eni, presente nel paese dagli anni Cinquanta, evitò la nazionalizzazione che man mano colpiva le altre società petrolifere in Libia, tra le quali quelle statunitensi e britanniche.

Le ragioni di questa più profonda corrispondenza tra i due paesi erano sia politiche sia economiche. Se infatti l'Italia aveva bisogno del petrolio libico, anche il regime libico aveva bisogno dell'Italia, innanzitutto come fondamentale contributore alla stabilità del rentier state. Inoltre l'Italia era necessaria per il proprio know-how, poiché era in grado di fornire alla Libia le conoscenze riguardo l'estrazione del petrolio, il processo di distribuzione grazie all'importazione di beni primari e finiti, ma anche per la realizzazione di opere civili ed edilizie.

Dopo il raffreddamento dei rapporti alla fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta con le altre potenze occidentali, dovuto soprattutto alle accuse di terrorismo internazionale, l'Italia rimase l'unico vero riferimento occidentale della Libia. Le aziende italiane infatti hanno continuato a operare nel paese e si sono aggiudicate importanti contratti per la costruzione di infrastrutture, consolidando in tal modo il ruolo italiano nell'economia libica.

Un primo punto di svolta nella questione delle pretese libiche si ebbe il 4 luglio 1998, durante il primo governo Prodi, con il cosiddetto Comunicato Congiunto tra Dini e Mountasser. L'accordo prevedeva una serie di impegni relativi alla realizzazione, da parte del Governo italiano, di alcuni progetti in Libia da parte di una società a capitale misto che avrebbe raccolto contributi da vari soggetti pubblici e privati, italiani e libici. Il progetto del Comunicato Congiunto procedette abbastanza lentamente e, nel 2001, si fece strada l'idea di un gesto simbolico, poi ribattezzato Grande gesto con il quale accontentare le pretese libiche. Il Gesto si risolse con l'istituzione di un ospedale oncologico sotto la supervisione dei maggiori specialisti italiani, accordo raggiunto nel 2003 in un incontro tra l'allora Premier Silvio Berlusconi e Gheddafi.

Il contenzioso, però, si risolse definitivamente solo con il trattato di Amicizia e Cooperazione (Trattato di Bengasi) del 30 agosto 2008, firmato da Gheddafi e il Presidente del Consiglio Berlusconi. Il Trattato ha rappresentato il definitivo accoglimento da parte dell'Italia delle richieste libiche, con il pagamento di 5 miliardi di dollari alla Libia come compensazione per l'occupazione militare e stabiliva inoltre norme per la cooperazione in materia di sicurezza, in particolare per il contrasto all'immigrazione clandestina e il contenimento dei flussi, e soprattutto un'estesa cooperazione economica.

Tuttavia, l'esecuzione del Trattato, ratificato nei primi mesi del 2009, fu presto interrotta dalla rivoluzione del 2011 e dal successivo intervento militare occidentale. Il Trattato di Bengasi avrebbe infatti impedito qualsiasi azione militare in partenza da basi militari italiane in virtù del principio di non ingerenza negli affari interni, e sarebbe stato dunque un ostacolo alla preparazione del successivo intervento umanitario. In aggiunta, il governo Berlusconi non condivideva affatto l'iniziativa franco-britannica di intervento contro Gheddafi, assumendo un atteggiamento cauto e attendista, senza nascondere il proprio sostegno a Gheddafi e allo stesso tempo proponendosi in ambito internazionale come partner privilegiato della Libia. Tuttavia, dopo la scelta americana di intervenire e per la paura che l'Italia restasse isolata dai suoi maggiori alleati, prevalse la decisione di entrare nella coalizione contro il dittatore libico, purché la missione rientrasse sotto il comando Nato. Con la Risoluzione 1973 del 2011 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha quindi deciso di sospendere il trattato, permettendo così all'Italia di prendere parte alla coalizione di intervento nel paese libico. Il Governo italiano aveva comunque tenuto a precisare che, con l'avvio del processo di transizione e la presa del potere del Consiglio nazionale di transizione libico, il Trattato sarebbe stato rimesso in auge, a riconferma dell'interesse strategico che riveste la Libia per l'Italia.

Finita la fase rivoluzionaria, nel 2012 la diplomazia italiana mise in atto una serie di trattative con l'obiettivo di riprendere l'esecuzione del Trattato e riaprire con il nuovo governo in carica la prospettiva privilegiata che esso aveva previsto. Nel mese di gennaio, in un incontro tra il Premier italiano Mario Monti e il Presidente del CNT Mustafa Abdul Jalil, venne firmata la Dichiarazione di Tripoli che, pur senza richiamare esplicitamente il Trattato di Amicizia e Cooperazione del 2008, ribadiva la volontà dei due governi di costruire i loro rapporti reciproci a partire dagli accordi sottoscritti precedentemente. In questo modo, l'Italia si riconfermava il principale partner economico della Libia.

Il primo passo compiuto dopo la Dichiarazione di Tripoli è stato la concessione all'addestramento complessivo di circa 1.400 militari e poliziotti libici che avrebbero avuto anche il compito di effettuare una sorveglianza elettronica dei confini desertici verso Ciad, Niger e Algeria, grazie alla messa in servizio di un vecchio contratto di fornitura di sistemi di controllo territoriale fornito da Finmeccanica. Inoltre, il nostro paese negli anni 2012/2013 è stato presente in Libia con una missione militare di cooperazione e addestramento delle forze di sicurezza libiche (Operazione Cirene), finanziata per i primi nove mesi del 2013 con 7,5 milioni di euro. La missione è stata tuttavia molto limitata per i 100 addestratori effettivi previsti, poiché non potevano provvedere da soli alla sicurezza personale e della loro base. Gli istruttori erano infatti disarmati in base all'accordo stipulato dopo il conflitto civile con il CNT che non ha mai accettato la presenza di soldati stranieri armati sul suolo libico.

Sempre nel corso del 2013, l'Italia diede anche il via all'operazione militare umanitaria “Mare Nostrum” per il pattugliamento della zona di mare tra Italia e Libia per fronteggiare l'eccezionale afflusso di migranti, questione di interesse primario per la politica estera italiana. L'operazione è poi terminata il 31 ottobre 2014 in concomitanza con la partenza della fallimentare operazione denominata Triton, poi ricondotta all'interno di quella europea Eunavflor Med.

Il governo italiano strinse quindi ottimi rapporti di cooperazione con i governi post-rivoluzionari di el-Kheib, Zeidan e poi di al-Thini e Serraj. Tuttavia, l'erompere della guerra civile fra le forze secolari e quelle islamiste nel luglio del 2014 allontanò di nuovo la speranza di una normalizzazione della situazione libica che avrebbe portato a una nuova fase per le relazioni italo-libiche.

Con il fallimento della transizione democratica in Libia e l'emergere di due governi contrapposti, l'Italia ha dovuto rimodulare le relazioni bilaterali con la Libia. Si è perciò palesata la necessità di adottare un approccio nuovo, che fosse improntato sulle nuove necessità che la situazione libica comportava. Così, nel febbraio 2014 il governo guidato da Matteo Renzi inaugurava una diplomazia volta a rimodulare i rapporti dell'Italia nella regione e ad assicurare un'attiva partecipazione italiana nella risoluzione della crisi in Libia, considerata dal governo Renzi non solo necessaria per salvaguardare gli interessi economici, energetici e di sicurezza del paese, ma anche per rafforzare la posizione italiana nell'ambito delle relazioni europee e transatlantiche. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il “caos” libico: legittimità plurime nel post-rivoluzione

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Bonsignore
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Cooperazione internazionale allo sviluppo
  Relatore: Valeria Rosato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 135

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