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Donne e lavoro: l'altra metà dell'economia. Influenza del capitale umano sulle discriminazioni di genere

“Part-Women”: questione di tempo

Per quanto riguarda il problema delle competenze e quindi di una scarsa formazione delle lavoratrici italiane, è stato interessante l’intervento di Roberta Cocco (Direttore Responsabilità sociale Microsoft Italia), secondo la quale, per cambiare le cose, bisogna tenere presenti e agire su due aspetti fondamentali: Empowerment e Education. Con il termine Empowerment, Roberta Cocco ha indicato la necessità di facilitare l’accesso delle donne alle informazioni per poter aggiornare più velocemente le proprie competenze. Grazie alle tecnologie avanzate che abbiamo a disposizione al giorno d’oggi, è assurdo che una donna debba trovarsi di fronte ad un bivio e scegliere se interrompere o meno la sua carriera in caso di maternità. Per questo si parla anche di Education, cioè di un aumento e miglioramento dei corsi di formazione per le donne in ambito lavorativo, di modo che possano ampliare le loro conoscenze in campo tecnologico ed informatico, utili e fondamentali durante tutta la loro carriera. La tecnologia, infatti, è considerata ormai trasversale e per questo può essere utile per recuperare le risorse perse durante il periodo di maternità oppure evitare che ci sia questo calo nelle esperienze e nelle competenze delle madri. A questo proposito, uno degli argomenti più dibattuti negli ultimi mesi in Italia, sia a livello politico che sociale, è la questione dell’Agenda digitale, tema trattato all’interno del Decreto Legge Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, approvato il 13 dicembre 2012. Le disposizioni riguardano l’attuazione dell’agenda digitale per le attività imprenditoriali, nei settori della pubblica amministrazione, della sanità, dell’istruzione e della giustizia per cercare di semplificare e snellire i pesanti iter burocratici italiani rendendo le pratiche più facili e veloci da gestire per via telematica. Quest’innovazione, come propone Roberta Cocco, può rappresentare un valido strumento per le donne lavoratrici che, grazie alle tecnologie a disposizione, potrebbero continuare a svolgere il loro lavoro da casa durante il periodo di congedo per maternità, rimanendo in contatto con la propria azienda tramite il computer, senza dovere interrompere l’attività per lunghi periodi con conseguenti perdite di competenze e quindi abbassamenti salariali. Per le professioni che lo consentono, la possibilità di poter gestire il proprio lavoro anche da casa, è un’ottima soluzione per riuscire a ridurre l’asimmetria dei tempi di vita tra i generi senza costringere le donne se scegliere tra famiglia e lavoro. Nell’ambito della conoscenza, l’utilizzo delle nuove tecnologie diventa inoltre un fattore chiave anche per lo sviluppo della competitività, invece nel nostro paese, l’uso di internet da parte delle donne tra i 16 e i 74 anni per servizi di e-governement è ancora solo del 13% contro il 32,7% della media europea. Così anche nella formazione, il nostro Paese presenta un divario non indifferente con solo il 6,6% di donne che partecipano ad attività di training sul lavoro in confronto al’12,4% della media europea. Queste mancanze pongono le donne italiane in una situazione di svantaggio e arretratezza rispetto alla controparte europea, contribuendo a rafforzare lo stereotipo della donna come principale responsabile nella cura della casa e della famiglia, che quindi tende a rinunciare alle sue aspirazioni lavorative e a sacrificare parte del tempo che potrebbe investire nella propria formazione, per adempiere ai propri doveri di moglie e madre. Secondo dati provenienti da Eurostat, Ocse e il Programma per lo Sviluppo delle nazioni Unite (UNDP, United Nations Development Programme), infatti, per quanto riguarda le lavoratrici in proprio e le imprenditrici, si è registrata una percentuale del 43,6% di ore dedicate settimanalmente al lavoro contro il 46,9% della media europea.
Attualmente, in Italia, l’apparente soluzione femminile ai problemi di conciliazione è rappresentata dal part-time. Lo considero un rimedio “apparente”, poiché, a lungo termine, include costi e rischi squilibrati all’interno della coppia che non portano a vantaggi significativi per la donna. Se una donna lavora part-time, infatti, avrà un reddito minore rispetto a chi lavora full-time e quindi accumulerà meno ricchezza pensionistica, rendendola ancora più dipendente economicamente dal partner. Le occupazioni part-time, spesso riducono le possibilità di carriera e le chance di migliorare le proprie competenze, indebolendo così le risorse negoziali delle donne. Come nei paesi scandinavi, soprattutto Svezia e Danimarca, il part-time è sempre più utilizzato dalle donne come meccanismo temporaneo per reinserirsi nel mercato del lavoro dopo la maternità, mentre in Italia, è uno strumento inflazionato dalle imprese per le loro esigenze, ma spesso non risponde ai bisogni delle lavoratrici, poiché il part-time non sempre gode delle stesse forme di protezione per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione o i congedi di maternità. Il part-time dovrebbe rappresentare un’opzione possibile in alcune fasi della vita della donna, ma spesso rischia di diventare una strada senza uscita se non è prevista la reversibilità: se le donne rimangono ingabbiate in questo meccanismo per l’interruzione più o meno temporanea del lavoro, si crea uno squilibrio salariale e discriminazioni dirette che hanno un effetto di intensificazione del lavoro remunerato degli uomini poiché continua ad essere affidata loro la responsabilità principale di procacciare reddito. Le difficoltà incontrate nel mercato del lavoro, quindi, sono legate anche ad una scarsa diffusione dei rapporti di lavoro che facilitano la conciliazione tra lavoro e famiglia: infatti, le donne italiane impiegate a part-time, nella fase di rientro al lavoro dopo il congedo per maternità, sono il 27,9% delle occupate contro il 37,1% della media europea e si registra inoltre, sul totale della forza lavoro femminile, un tasso di disoccupazione di lunga durata pari al 4,1% contro il 2,6% in Europa. Secondo il “Rapporto Ombra CEDAW 2011 sui Diritti delle Donne in Italia”, al part-time, si affianca una grande diffusione di lavori precari con contratti atipici per i quali non sono assicurati ammortizzatori sociali e spesso caratterizzati da bassi livelli retributivi o discontinuità lavorativa. Per questi tipi di impieghi la maternità non è tutelata e spesso le donne che chiedono periodi di congedo, si trovano poi senza lavoro al momento in cui, dopo il parto, decidono di riprendere la propria professione. [...]

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Donne e lavoro: l'altra metà dell'economia. Influenza del capitale umano sulle discriminazioni di genere

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Informazioni tesi

  Autore: Giada Marraghini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi Ca' Foscari di Venezia
  Facoltà: Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell'Asia orientale
  Corso: Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell'Asia orientale e dell'Africa mediterranea
  Relatore: Valeria Zanier
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 140

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Parole chiave

italia
donne
capitale umano
cina
imprenditoria femminile
discriminazione salariale
segregazione sul lavoro
capitale finanziario

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