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L'efficacia negativa dell'articolo 39 della Costituzione

Sindacati e opzione privatistica del diritto sindacale italiano

La categoria professionale è costituita da un gruppo di individui “che esercitano professionalmente la medesima attività economica”.
Ognuno degli appartenenti alla categoria, in forza di quanto previsto dal primo comma dell'articolo 39 della Costituzione, può partecipare alla tutela dell'interesse collettivo professionale, che di regola si realizza attraverso l'opera dei sindacati.
Essi sono associazioni volontarie che si formano nell'ambito del gruppo. La loro azione è volta a tutelare gli interessi degli iscritti, ma, attraverso gli strumenti tipici del contratto collettivo di lavoro e dello sciopero, tende “naturalmente” alla tutela degli interessi di tutto il gruppo professionale.
Il più importante interesse collettivo perseguito dai sindacati è quello “a disciplinare la concorrenza fra lavoratori e datori di lavoro”. Ciò vuol dire che i sindacati mirano a far ottenere ai propri iscritti le migliori condizioni contrattuali possibili. Il Santoro Passarelli afferma che la disciplina della concorrenza è un bene che soddisfa un interesse collettivo, perché non può essere conseguito dai singoli separatamente, ma solo congiuntamente da tutti.
La scelta del legislatore, di non emanare una legge attuativa dei commi 2 – 3 – 4 dell'articolo 39 della Costituzione, ha impedito che si realizzasse l'intento del Costituente di far assumere ai sindacati una dimensione pubblicistica.
Di conseguenza, si è configurata quella che i giuslavoristi chiamano opzione privatistica del diritto sindacale italiano. Ciò significa che i sindacati e le organizzazioni datoriali sono disciplinati dalle norme del diritto privato. Dunque, oggi i sindacati sono associazioni non riconosciute e, in quanto tali, soggetti alla disciplina di cui agli articoli 36 e ss. del codice civile.
L'interrogativo che ci si pone in questa sede è il seguente: è legittimo il rimpianto di una parte della dottrina italiana di diritto del lavoro per la mancata attuazione dell'articolo 39 della Costituzione?
A questa domanda il Mancini risponde con un secco no. Egli, infatti, condivide la scelta “politica” del legislatore ordinario, fondata sulla convinzione “che l'erga omnes serva anzitutto l'interesse del sindacato”. L'articolo 39 è, a suo dire, una norma “sbagliata”. L'errore sta “nell'aver inesattamente individuato il gruppo titolare dell'interesse soddisfatto mediante l'attribuzione dell'efficacia erga omnes al contratto collettivo”. Nel formulare l'articolo 39, il Costituente è partito da un presupposto sbagliato: che il sindacato mirasse a soddisfare l'interesse di tutti i lavoratori e non solo di quelli ad esso iscritti. In realtà, non è così e lo si capisce rileggendo la storia del sindacalismo. Il sindacato nasce come “associazione tra gli operai più combattivi della stessa impresa”. Quando è aumentata la concorrenza tra i lavoratori, è subentrata la necessità per il sindacato di organizzarsi su base più vasta e di estendere l'area di applicabilità dell'accordo all'intero territorio nazionale.
Fin quando la contrattazione rimane all'interno dell'impresa, ha scarsa importanza pratica che al sindacato aderisca l'intero personale o solo una frazione di esso, perché l'imprenditore applica, in ogni caso, a tutti le clausole del regolamento stipulato. Altrimenti dovrebbe non solo tenere due contabilità separate ma potrebbe indurre i lavoratori non iscritti a farsi membri dell'associazione con conseguente rafforzamento del suo avversario, cioè del sindacato.
Quando invece la zona di copertura del contratto coincide con un vasto settore dell'economia, il grado di sindacalizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro diviene un fattore determinante per la difesa dei vantaggi anteriormente acquisiti dal sindacato. Infatti la presenza sul mercato di “un'ampia offerta di lavoro libero” e “l'esistenza di una larga aliquota di imprese non aderenti alle associazioni dei datori costituiscono una continua minaccia al potere sindacale e al contratto collettivo, o, addirittura, come ha visto assai bene la dottrina tedesca, rappresentano un pericolo per la stessa occupazione dei lavoratori iscritti”. Il Mancini, in sostanza, afferma che per il sindacato è vitale che rimanga contenuto il numero di lavoratori e datori di lavoro ad esso non aderenti, perché altrimenti si creerebbe una forte concorrenza tra lavoratori che penalizzerebbe quelli sindacalizzati. Infatti, i lavoratori non iscritti a sindacati sarebbero disponibili ad accettare condizioni lavorative peggiori rispetto a quelle minime previste dai contratti collettivi pur di essere preferiti dai datori di lavoro in cerca di personale da assumere.
Per evitare che si verifichi una situazione di questo tipo, il sindacato cerca di ottenere il maggior numero possibile di consensi mediante una serrata opera di proselitismo. Ma quando ciò si rivela essere insufficiente, chiede allo Stato di trasformare il contratto collettivo in una legge obbligatoria per tutti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'efficacia negativa dell'articolo 39 della Costituzione

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Informazioni tesi

  Autore: Maria Chiara Abate
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi del Salento
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Monica McBritton
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 110

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Parole chiave

art. 39
articolo 39
contratto collettivo
contratto di lavoro
costituzione
efficacia contratto
sindacati

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