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Valutazione della qualità video percepita su reti wireless multi-hop.

Compressione di segnali video

La possibilità di poter trasferire informazioni multimediali sul nostro sistema di localizzazione WLAN IEEE 802.11b è sicuramente una delle caratteristiche più interessanti sia dal punto di vista tecnico, dove si prefigura l’impegnativa sfida di fornire servizi avanzati e interattivi ad un gran numero d’utenti, sia dal punto di vista economico, dove altrettanto chiaramente si prevede lo sviluppo di un nuovo e vasto mercato.

La sfida principale del sistema di localizzazione è di rendere disponibile un software che consenta ad un insieme eterogeneo di utenti di trasmetterete e ricevere sequenze multimediali in tempo reale ed in modo efficiente, cioè con la migliore qualità possibile compatibilmente con le risorse di banda e potenza di calcolo disponibile localmente.

Per soddisfare questi requisiti, a progetto terminato, l’algoritmo di codifica da usare dovrà essere scalabile e a bassa complessità. La complessità è un requisito che richiede pochi commenti: è chiaro, infatti, che per funzionare in tempo reale su macchine non particolarmente potenti, l’algoritmo deve essere computazionalmente economico.

Un flusso (video) codificato si dice scalabile quando è decomponibile in sottoflussi dai quali è ancora possibile decodificare la sequenza video, seppure con una qualità di riproduzione inferiore. In pratica, un flusso scalabile è costituito da un flusso base, caratterizzato da parametri di qualità minimi e da più sottoflussi aggiuntivi che migliorano gradualmente la qualità complessiva.

Lo scopo di questo capitolo è, in parte, quello di acquisire le nozioni necessarie per poter affrontare il problema della scalabilità, ma il focus principale consiste nella valutazione e conseguente scelta dalla più performante codifica video da adottare per il nostro sistema di comunicazione.

La conoscenza di questa informazione non deve essere assolutamente trascurata poiché l’efficienza dell’intero sistema dipende dalla banda occupata dai contenuti multimediali.

Per cercare di risolvere il problema dato dalla disponibilità insufficiente di memoria, di banda o semplicemente per poter utilizzare in modo efficiente audio, immagini e video in formato digitale, sono stati sviluppati svariati algoritmi di compressione.

Compito specifico di un algoritmo di compressione è trasformare la sequenza di byte che costituisce un file in una differente sequenza più breve, sfruttando complessi algoritmi matematici.

Ovviamente, poiché una sequenza di byte che compone un file compresso non sarà utilizzabile per riprodurre il contenuto nel file originale, occorre che qualsiasi formato di compressione sia reversibile: in genere, se un programma ha la capacità di salvare un file in un formato compresso, è anche in grado di leggere i file che sono stati compressi con quel particolare formato, ripristinando l’informazione in essi contenuta, cioè decomprimendoli.

In linea di massima, comprimere un file significa eliminare tutte le componenti non essenziali (o ridondanti), tentando però di mantenere il più possibile inalterata la qualità originaria utilizzando a questo scopo i metodi più opportuni. In virtù di quanto detto sopra, la principale differenza che possiamo stabilire tra i formati di compressione è data dalla misura della loro reversibilità.

Un formato che è in grado di restituire, al termine della decompressione, un contenuto esattamente uguale – bit per bit – all’originale com’era prima che fosse compresso, viene normalmente definito lossless, cioè senza perdita.

Viceversa, un formato di compressione che non può assicurare una reversibilità assoluta, viene definito lossy, ovvero con perdita. La cosa che si perde o non si perde è la fedeltà all’originale del contenuto ripristinato. Occorre conoscere perfettamente le caratteristiche dei formati di compressione che si adoperano, se si vuole il meglio dalle manipolazioni che si effettuano sui file. Sarebbe infatti un grave errore salvare e risalvare un file in un formato lossy come il JPEG, per poi utilizzarlo alla fine in un formato “senza perdita” come il TIF.

È invece corretto fare il contrario, ovvero salvare quante volte si vuole un lavoro in corso d’opera in un formato non distruttivo, per poi salvarlo solo alla fine, se è necessario, in un formato distruttivo. La regola (e la logica) vuole, insomma, che l’archiviazione in un formato lossy sia sempre l’anello conclusivo della catena di trasformazioni a cui è sottoposto un file.

A questo punto nasce una domanda scontata: perché mai usare un formato di compressione distruttivo, se esistono sistemi non distruttivi che permettono di comprimere e decomprimere uno stesso file infinite volte, conservando tutte le informazioni in esso contenute?

La risposta è che in molti casi la quantità di spazio ottenibile per mezzo di una compressione non distruttiva (lossless) riesce a salvare è di molto inferiore al risparmio di spazio ottenibile per mezzo di una compressione distruttiva (lossy). L’efficienza della compressione viene calcolata dividendo la grandezza originale del file per la sua grandezza una volta compresso. In inglese questo valore si chiama compression rate o, alla latina, ratio; in italiano possiamo chiamarlo coefficiente o fattore di compressione.

Vediamo, per mezzo di una tabella riassuntiva, i guadagni di spazio che si possono ottenere con ciascuno dei due metodi di compressione dei file grafici. Un file grafico di 1024 x 768 pixel in modalità RGB, che occupa in forma non compressa 2.304Kb, può “dimagrire” con una compressione non distruttiva fino a ridursi, nel migliore dei casi, a poco più di 115Kb, cioè un ventesimo della grandezza originaria.

Questo, però, se l’immagine rappresentata nel file è un disegno, un fumetto. Nel caso sia invece una foto, il meglio che possiamo sperare da una compressione non distruttiva è un dimezzamento del peso del file: da 2.304 a 1.150Kb circa. Ben diversi sono i fattori di compressione che possiamo ottenere ricorrendo all’uso di formati distruttivi. Il file contenete la scansione di una foto può ad esempio essere ridotto fino al trentesimo circa della grandezza originaria (cioè meno di 77Kb sui 2.304Kb di partenza del nostro esempio) senza alcuna perdita di qualità apparente.

Se, poi, non si infastidisce un certo progressivo, visibile degrado dell’immagine, possiamo ottenere fattori di compressione addirittura del 300 per cento, che porterebbero il nostro file da 2.304Kb a poco meno di 8Kb! Evidente, dunque, la necessità di usare per fruizione su Internet, soggetta alla lentezza delle connessioni via modem, i formati distruttivi, grazie alle loro superiori capacità di compressione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Valutazione della qualità video percepita su reti wireless multi-hop.

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Informazioni tesi

  Autore: Simona Ranieri
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Ingegneria
  Corso: Ingegneria dell'informazione
  Relatore: Gianluca Aloi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 71

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