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Estradizione e tutela dei diritti dell'uomo

Il model treaty sull’estradizione

Con Risoluzione n° 116 del 14 dicembre 1990, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel corso della sua 45^ sessione, adottò un “modello di trattato sull’estradizione”, uno schema di accordo bilaterale in materia di estradizione, elaborato al termine dell’ottavo Congresso sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei criminali, tenutosi a Cuba nel 1990.
Tale risoluzione fu emendata successivamente dalla Ris. n° 88 del 12 dicembre 1997, adottata nel corso della 52^ sessione dell’Assemblea, apportando delle modifiche relativamente alla sostanza di alcuni articoli, e inserendo ulteriori definizioni in merito alle procedure di estradizione.
Basato sui trend prevalenti in materia di norme sull’estradizione, così come sulle esperienze accumulate dai trattati bilaterali e multilaterali in materia, il Modello di trattato sull’estradizione risulta essere un’importante innovazione nella cooperazione internazionale in materia penale per via del suo contenuto e della sua struttura.
Le sue disposizioni sono il risultato di un bilanciamento fra i bisogni e le difficoltà incontrate dagli Stati membri nei procedimenti di estradizione.
Tale strumento-modello offre sicuramente una serie di chiare e ben definite opzioni che possono essere utilizzate dagli Stati interessati, durante la negoziazione o la ri-negoziazione di un accordo in questo campo, provvedendo allo stesso tempo salvaguardie sia per lo Stato richiesto che per il richiedente, così come per le persone coinvolte nel procedimento estradizionale. Ciò che maggiormente rileva dal modello di trattato, è sicuramente il tentativo di coniugare le norme sull’estradizione (e gli standard generalmente riconosciuti in materia) e quelle sui diritti umani e la protezione degli individui, attraverso espliciti richiami ai Patti internazionali sui diritti umani.
In quest’ottica, il modello di trattato è stato creato con la precisa convinzione che la stipula di trattati bilaterali e multilaterali sull’estradizione possano contribuire allo sviluppo di una maggiore effettiva cooperazione internazionale per il controllo del crimine, con particolare riguardo alle ultime forme di atti criminosi di rilevanza internazionale, fatta salva la forma bilaterale della cooperazione.
Considerato nella sua forma, riveduta sette anni dopo la sua adozione, il testo del modello di trattato non presenta particolarità in merito alle procedure, o ai requisiti per l’estradizione della persona richiesta né tanto meno relativamente ai crimini che danno luogo ad estradizione.
Uno dei meriti più importanti di questo strumento, è senz’altro quello di coniugare potestà punitiva dello Stato richiedente e garanzie di tutela dei diritti dell’estradando, in maniera molto più esplicita ed articolata rispetto ad altri trattati elaborati nei decenni precedenti: ciò risulta in maniera chiara dall’elaborazione di due distinti articoli (artt. 3 e 4) in cui sono specificati i motivi per cui lo Stato richiesto è obbligato (secondo i dettami del diritto internazionale e della prassi degli Stati, su cui è fondato il modello stesso) a rifiutare l’estradizione; rientrano in questi motivi chiaramente tutte le violazioni gravi dei diritti umani, che potrebbero essere subite dall’estradando nel caso in cui venisse consegnato allo Stato richiedente, incluso il caso in cui la persona richiesta venga dichiarata colpevole attraverso un procedimento in absentia.
Ma il grande escluso di questo articolo è la pena di morte, inserita tra i motivi per cui lo Stato richiesto ha la facoltà di rifiutare l’estradizione, incluso il caso in cui lo Stato richiedente abbia fornito necessarie ed adeguate assicurazioni di non esecuzione delle sentenza capitale nei confronti della persona richiesta.
La spiegazione di una simile disposizione è chiaramente dovuta ad una valutazione di tipo politico piuttosto che di tipo prettamente giuridico, in quanto, per far approvare il modello di trattato in seno all’Assemblea, gli esperti hanno dovuto, se non guadagnare le simpatie, per lo meno vincere le resistenze degli Stati che mantengono ancora la pena capitale, facendo in modo che non bloccassero la risoluzione votando contro disposizioni eccessivamente gravose per i rispettivi ordinamenti.
Ancora nel modello del trattato non compare il principio aut dedere aut judicare, sebbene esso sia contenuto in due distinte disposizioni del testo, ossia nell’obbligo ad estradare secondo le norme del trattato stesso e nella parte in cui si prevede che lo Stato richiedente, nel caso in cui venga rifiutata l’estradizione della persona richiesta, possa chiedere allo Stato in cui essa si trova di intraprendere le necessarie azioni legali contro di essa.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Estradizione e tutela dei diritti dell'uomo

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Informazioni tesi

  Autore: Stefano Crescenzi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Ersiliagrazia Spatafora
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 247

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