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La Realtà Virtuale in psicologia clinica

Allucinazione consensuale e giudizio di realtà

Quanto più la linea di demarcazione tra R e VR diviene incerta a causa del successo della realtà virtuale nello sviluppare ambienti di simulazione accettabili sul piano dell'evidenza sensibile (Schneiderman 1992), tanto più risulta problematico formulare giudizi di realtà distinguendo in modo preciso tra realtà fisiche e artefatti computerizzati che consentono di manipolare la realtà fisica, e così via (Ellis et al. 1991).
Alla dicotomia VR – R che abbiamo visto sopra corrisponde, sul piano del giudizio, un'analoga dicotomia allucinazione – giudizio di realtà. La discriminazione tra stati allucinatori e non – allucinatori riposa sul «presupposto fondamentale che gli allucinatori scambiano i loro eventi interni, mentali e privati per eventi esterni e pubblicamente osservabili» (Bental 1990, 88).

Considerata dal punto di vista dell'allucinazione, la VR appare come un ambiente artificiale in cui le persone entrano con lo scopo di ricevere (ed interagire con) stimolo prodotti sinteticamente, anziché dal «normale» ambiente di vita. L'ambiente virtuale è ricercato come fonte di esperienze vivide sul piano sensoriale e illusorie sul piano del giudizio di realtà. Questo tipo di esperienze sembra riconducibile per un verso alla definizione di allucinazione (in quanto rimanda a una realtà fittizia: in questo senso Gibson pala della VR come di una «allucinazione consensuale»), e per una altro a quella di non – allucinazione (in quanto eventi pubblicamente osservabili: i mondi virtuali sono condivisibili tra più attori). Il paradosso sorge all'interno della prospettiva «realista ingenua» che contrappone la «realtà», che sta «fuori » dalla testa delle persone, alla «illusione», che nasce «dentro» la loro testa.

Esso è esasperato dal fatto che negli ambienti virtuali gli «eventi privati» hanno caratteristiche che sono proprie anche degli «eventi pubblici»: in essi è possibile la partecipazione di altri attori, reali o virtuali, ad esempio in una partita di tennis in VR.
Pubblico però in un senso non previsto né da studiosi come Bentall né dal senso comune, i quali preferirebbero considerare gli ambienti virtuali piuttosto come contesti pseudo – allucinatori realizzati con risorse tecnologiche e accessibili anche da altri attori, umani o simulati. Il problema sottostante è ancora quello del primo paradosso della VR, riguardante la «realtà» nell'esperienza virtuale: chi è la Linda che Casey incontra nell'ambiente virtuale? Secondo quanto riferisce Heim, Linda è da un lato un «corpo sessuale»a tutti gli effetti. Anzi, di più, è il «corpo e la personalità dell'amata di Casey». Ma ciò non toglie che sia, o possa essere, una simulazione prodotta dal computer controllore di Neuromancer.

La confusione tra eventi privati ed eventi pubblici corrisponde non solo alla fenomenologia dell'esperienza di VR, ma anche allo scopo, egualmente presente in VR, di superare, svalutare, o cancellare l'esperienza quotidiana. Ne risulta che l'entità del disorientamento possibile dipende da due ordini di fattori. Da un lato dalla vividezza della presentazione dell'ambiente virtuale e dall'altro lato dal tipo di giudizio circa l'ambiente simulato che si è in grado di fare su un piano meta cognitivo. Semplificando, possiamo indicare due soluzioni.

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La Realtà Virtuale in psicologia clinica

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Lazzeri
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università della Valle D'Aosta
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Franco Del Corno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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