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Il delisting in Italia: un'analisi empirica

Il delisting nella letteratura

In linea generale, la letteratura sul delisting nel mercato italiano è poco sviluppata. Tuttavia, il caso italiano è stato spesso trattato unitamente all’analisi dei delisting a livello europeo.

Maggiormente approfondito è stato l’argomento del Public-to-Private per quanto riguarda il mercato americano. Questo è spiegabile dall’andamento del fenomeno di delisting per passare dal mercato pubblico a quello privato che in Europa ha avuto uno sviluppo solo dagli anni novanta in avanti mentre in US era già ampiamente diffuso.

[Tra i Paesi interessati a questo fenomeno nel periodo 1984-2005] l’Italia ricopre un ruolo molto marginale rispetto agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna. Tali dati in ammontare di milioni di dollari e in numero di operazioni, mostrano infatti come gli Us sono da sempre stati i “pionieri” di questo fenomeno che si è poi sviluppato in Gran Bretagna e a seguire negli altri Paesi europei.

Le motivazioni che hanno portato all’estensione del delisting sul mercato europeo dagli anni novanta possono essere riscontrate nelle modifiche della legislatura e regolamentazione dell’M&A (ad esempio l’introduzione di riforme fiscali) che hanno reso più semplice le operazioni di Public-to-Private, e nell’aumento sul mercato del numero di intermediari finanziari come fondi di Private Equity o altri investitori istituzionali interessati a diversificare il proprio portafoglio.

Nel contesto europeo la tecnica di base per “delistare” una società dal mercato borsistico ufficiale è quella di acquistare le azioni dal pubblico di investitori. Ogni Paese ha la sua legislazione a riguardo ma la caratteristica comune prevede due step: la prima offerta, volontaria o obbligatoria, con la quale si vuole acquisire il controllo esterno della società, seguita poi da una eventuale seconda offerta detta residuale, finalizzata al controllo totale delle azioni in circolazione per poi decidere e ottenere l’uscita della società target dal mercato.

L’offerta residuale in Italia permette l’acquisto/vendita obbligatoria delle azioni rimaste sul mercato quando si ottiene dalla prima Opa una percentuale minima del 98%; a livello europeo si considera una percentuale minima media del 95%, come riportato nello studio de Geranio e Zanotti (2007).

Molti autori che hanno studiato il Public-to-Private e il guadagno che gli shareholders possono ottenere dal delisting, calcolano il rendimento come CAARs (Cumulative Average Abnormal Return) generato dall’annuncio del buyout attraverso il delisting o più semplicemente come premio pagato dall’acquirente nella transazione calcolando la differenza tra il prezzo pagato al momento dell’offerta dell’acquirente interessato a lanciare l’offerta e il prezzo dell’azione prima dell’annuncio dell’offerta e della conseguente intenzione di delisting.

La differenza tra i due è che il primo metodo prende in considerazione la probabilità di fallimento dell’acquisto “in blocco” della totalità delle azioni. Utilizzando il CAARs come misurazione di guadagno, DeAngelo et al. (1984) ha rilevato significativi ritorni positivi all’annuncio del Public-to-Private e Frankfurter e Gunay (1992) hanno confermato questo risultato aggiungendo che shareholders sia interni che esterni ottengono vantaggi a livello economico da questo tipo di operazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il delisting in Italia: un'analisi empirica

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Informazioni tesi

  Autore: Elena Luchini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Finanza
  Relatore: Massimo Spisni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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