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Famiglie povere e modelli di welfare: un confronto tra il caso italiano e svedese

Le ricadute del processo di individualizzazione nella famiglia

A seguito della nascita di questa società fatta di rischi, insicurezze e incertezze che destino avrà la famiglia come istituzione portante di un sistema che è avvolto da continue crisi?
A tal riguardo è molto interessante comprendere le ricadute che il processo di individualizzazione ha nella famiglia.
La visione che abbiamo di quest’ultima, è di un’istituzione che ha perso sempre più i propri valori subendo un processo di fragilizzazione dovuto ad un insieme di cambiamenti. La famiglia contemporanea è sottoposta a stress non indifferenti, che sollecitano cambiamenti importanti nelle attività lavorative informali svolte al suo interno. La crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’aumento dei compiti di assistenza e di cura dei membri non autosufficienti della famiglia (minori, anziani, portatori di handicap) provocano tensioni e mutamenti nell’assolvimento del lavoro domestico tradizionale e nel funzionamento della famiglia come agenzia di welfare.
Il modello di famiglia nucleare fondato sulla rigida divisione dei compiti tra il capofamiglia maschio (male breadwinner) occupato a tempo pieno e la casalinga adibita al lavoro domestico (altrettanto a tempo pieno) è entrato in crisi, anche se in modo più o meno pronunciato nei diversi paesi; esso resiste infatti assai più nei paesi dell’Europa meridionale e, in parte, continentale, che in quelli dell’Europa settentrionale (Paci 2005, 107).
Quindi da un lato si verifica un processo di emancipazione delle donne, dall’altro il crescente riconoscimento sociale del lavoro di cura familiare che porta ad una permanenza entro le mura domestiche. Nel primo caso si può parlare di un ruolo di “de-familizzazione” delle politiche sociali e del lavoro; nel secondo caso di un ruolo di “rifamilizzazione”. In effetti, per interpretare il lavoro familiare di cura come espressione piena del processo di individualizzazione, esso dovrebbe essere non soltanto socialmente riconosciuto, ma anche accompagnato da un superamento dell’attuale divisione di genere del lavoro nella famiglia (un superamento che appare iniziato in molti paesi europei, ma in modo assai lento e graduale). E’ in una situazione in cui il lavoro familiare non sia inquinato dalla subordinazione di genere che esso può costituire, con maggiori probabilità, una modalità, liberamente scelta, di realizzazione di sé (è evidente tuttavia che, anche in questa prospettiva, l’offerta di servizi di sostegno alla famiglia non perde di certo importanza).
Dunque, ci troviamo di fronte alla nascita di una società attiva (o anche pluriattiva): una società cioè dei lavori di mercato e delle attività fuori mercato socialmente riconosciute (Paci 2005, 20).
E’ all’interno di questa società, in cui alla famiglia nucleare ad un reddito si sostituisce quella a più redditi, che la libertà di scelta e di realizzazione di sé del cittadino attivo, trova una più diffusa possibilità di attuazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Famiglie povere e modelli di welfare: un confronto tra il caso italiano e svedese

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Informazioni tesi

  Autore: Alessandra Faraone
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Enrica Morlicchio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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Parole chiave

individualizzazione
povertà
demercificazione
familizzazione
welfare

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