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Sviluppo, moneta e ciclo in Marco Fanno

Il protezionismo , l’imperialismo e le problematiche a essi inerenti

Un importante corollario della teoria macroeconomica classica è il principio del libero scambio.
Secondo i classici (in particolare A. Smith) il mercato ha la tendenza spontanea (la c.d. mano invisibile) ad evolvere verso una struttura più efficiente possibile, che poi è il “mondo migliore“ sia per il produttore che per il consumatore.
In questa ottica il libero mercato viene visto come lo strumento che nell’ambito di un’economia aperta permette la naturale e migliore allocazione possibile delle risorse naturali. Qualsiasi strumento che impedisce – o quantomeno interferisce con – questa allocazione (con l’apposizione di dazi doganali oppure tramite l’intervento dello Stato agendo sui meccanismi regolatori del mercato) non è tollerato: la misura del protezionismo è una di queste.
L’ostilità nei confronti di regimi protezionisti/autarchici sarà ripresa anche dai marginalisti.
Fanno giustifica al contrario il protezionismo alla luce della teoria dei costi comparati: come già affermato descrivendo la seconda fase della teoria dello sviluppo economico, il libero scambio, permettendo un migliore allocazione delle merci, sarà per forza di cose preferito dai paesi che presentano marcati divari nei costi comparati in quanto costoro hanno più convenienza a commerciare con l’estero (specializzandosi ed esportando ad es. prodotti la cui produzione ha un costo opportunità minore che in altri paesi e importando merci in cui questa opportunità è assente).
I paesi che invece hanno divari più ristretti non hanno convenienza a commerciare adottando il modello di libero mercato perché in primis i loro costi comparati coincidono con la propria ragione di scambio internazionale e poi perché sono esposti alla concorrenza dei paesi con regime di libero mercato.
Il protezionismo costituisce l’eccezione alla regola generale: viene concepito al fine di difendere l’industria (o l’agricoltura) interna dalla concorrenza esterna, nel tentativo di ampliare il divario tra i costi comparati ed evitare possibili oscillazioni della ragione di scambio internazionale In quanto tale però, deve essere considerato come misura provvisoria, destinata a essere utilizzata solo in un breve arco di tempo: a lungo termine potrebbe risultare dannoso perché l’autarchia costringerebbe un paese a distogliere una parte delle proprie risorse da un settore (industriale) per destinarle a un settore declinante (agricolo).
Fanno sostiene inoltre che gli stati adottanti il regime del libero scambio possono coesistere con i paesi a regime autarchico: a prova di ciò asserisce che nel 1846 l’Inghilterra abolisce i dazi doganali e adotta il libero scambio nonostante la Germania, gli U.s.a. e gli altri paesi non decidano in tale direzione.
Al protezionismo succederà l’imperialismo: la penuria di sbocchi commerciali in Europa spinge le nazioni del vecchio continente alla ricerca di nuovi mercati verso i quali trasferire manodopera e capitali al fine di creare nuovi insediamenti e dare vita a un moderno sistema di relazioni commerciali: questo permetterà al paese colonizzatore di consolidare il proprio modello di specializzazione e superare agevolmente eventuali depressioni economiche causate dall‘oscillazione della ragione di scambio internazionale.
Il ruolo del paese colonizzatore è rilevante in quanto questo, introducendo nel nuovo territorio uomini e capitali, è il “deus ex machina“ della nascita di un sistema economico locale: fondamentale quindi l’apporto esterno.
Grazie all’apporto di capitale esterno in combinazione con l’aumento di popolazione, è possibile presentare l‘evoluzione della struttura economica delle colonie che non tocca però in maniera uguale tutti i paesi potenzialmente colonizzabili: gli investimenti iniziali riguardano principalmente territori atti a produrre beni esportabili nella madrepatria (secondo le necessità dell‘economia dominante).
Si parla perciò di paesi che si sviluppano ed si evolvono in via industriale e agricola assecondando l’espansione economica dei paesi vecchi. Mano a mano che le colonie si popolano e progrediscono (ecco che entra in gioco la variabile demografica) diminuisce gradualmente l’importanza dell’afflusso di capitali esterni, fino ad eliminare ogni vincolo di subordinazione economica dando inizio all’indipendenza economica (a cui seguirà quella politica) del paese colonizzato.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sviluppo, moneta e ciclo in Marco Fanno

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Marti
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Riccardo Faucci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 137

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Parole chiave

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