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Teoria dell'immagine e pragmatica della comunicazione

L’autonomia dell’immagine

L'autonomia dell'immagine che viene teorizzata a partire dagli anni Sessanta trova riscontri significativi in ogni ambito della vita quotidiana e delle relazioni sociali, oltre che nella costruzione di sé e nell'auto-percezione dell'uomo contemporaneo in qualità di essere umano da una parte e in qualità di individuo dall'altra. Avendo già nello scorso capitolo – in particolare con Virilio – accennato alle tecnologie del visuale in quanto determinanti di dinamiche di potere, inizieremo la nostra analisi delle implicazioni sociologiche dell'era delle immagini proprio dal chiederci quale rapporto renda quest'ultima tra visibilità e potere. Per introdurre le tematiche che andremo a trattare ci serviamo di un romanzo molto noto, 1984 di George Orwell, nel quale l'intera società è succube del potere di un unico Partito, al vertice della cui piramide sta il Grande Fratello, che nessuno ha mai visto ma che è venerato come un dio e al quale tutti i cittadini devono obbedienza.

Il Grande Fratello esercita il suo potere assoluto attraverso un controllo continuo e pervasivo della vita dei suoi sottoposti, mediante tecnologie estremamente avanzate – strumento principe è il teleschermo, che non solo trasmette suoni e immagini ma anche, e soprattutto, vede e ascolta ciò che accade nelle case della gente, obbligata a tenerlo acceso ventiquattr'ore su ventiquattro – che gli consentono di vedere e sentire, quando vuole, ciò che chiunque sta facendo, in qualsiasi momento della giornata. Di osservare effettivamente le persone e di intervenire in caso di necessità si occupa la Psicopolizia, che reprime sul nascere, e con inaudita crudeltà, ogni tentativo di rivolta e perseguita chiunque manifesti – o lasci anche solo intuire – il minimo segno di dissidenza politica. La trama del libro ci permette di percorrere, in una rapida carrellata, molti dei temi che ci interessano, e che andremo a sviscerare, chiamando in causa autori diversi, nel corso del presente capitolo. Innanzitutto, Orwell presenta una situazione di schiavitù derivante dal trovarsi perennemente sotto l'osservazione di un occhio invisibile o, il che è lo stesso, dal sapere che si potrebbe, qui e ora, essere osservati e ascoltati.
a consapevolezza di essere sempre a disposizione dello sguardo di qualcuno porta, infatti, a comportarsi in ogni momento come se quello sguardo fosse effettivamente puntato su di sé.

“Naturalmente, non era possibile sapere se e quando si era sotto osservazione. Con quale frequenza, o con quali sistemi, la Psicopolizia si inserisse sui cavi dei singoli apparecchi era oggetto di congettura. Si poteva persino presumere che osservasse tutti continuamente. [...] Dovevate vivere (e di fatto vivevate, in virtù di quell'abitudine che diventa istinto) presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e qualsiasi movimento – che non fosse fatto al buio – attentamente scrutato” (Orwell 2005, 7).

L'unico momento nel quale si possa essere ragionevolmente sicuri di non essere visti – seppure anche allora permanga la possibilità di essere ascoltati – è quello in cui si è al buio. Ecco che viene introdotto per la prima volta il binomio invisibilità-libertà, e di conseguenza quello invisibilità-potere. In effetti, nel romanzo, potersi sottrarre al controllo dello sguardo è un privilegio di pochi, nello specifico dell'oligarchia composta dai membri del Partito Interno. Nella scena in cui i due protagonisti lo scoprono, trovandosi ospiti in casa di uno di questi, essi sono colti da uno sconvolgimento incredulo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Teoria dell'immagine e pragmatica della comunicazione

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Cioni
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Teoria della comunicazione
  Relatore: Luca Mori
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 134

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