La legislazione comunitaria e nazionale in materia di asilo. Riflessi in una realtà locale: il caso di Ancona

Il punto di partenza per l’analisi della disciplina italiana in materia di immigrazione e asilo è sicuramente la Costituzione italiana che, all’articolo 10, comma 3, stabilisce che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".
L’ambito di applicazione di questo articolo, dunque, sembra essere molto vasto, dato che l’unica condizione per ottenere l’asilo è costituita non tanto dalla mera assenza nella Costituzione del Paese terzo di diritti o libertà fondamentali, quanto dal concreto impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche presenti nella Carta. In sostanza, affinché l’asilo possa essere concesso, non si deve analizzare la forma di governo del Paese di origine del richiedente, né tantomeno vedere se le libertà fondamentali siano enunciate sulla Carta costituzionale dello stesso, ma soltanto verificare se quello Stato, autoritario o democratico che sia, impedisce l’effettivo esercizio di quelle libertà.
Seguendo questo ragionamento, «la tassatività della norma costituzionale sul diritto d’asilo che presuppone la verifica caso per caso delle situazioni personali di ogni richiedente asilo fa ritenere incostituzionale ogni presunzione legale che consista in elenchi di Paesi lesivi delle libertà democratiche, ma anche in elenchi di Paesi da ritenersi ―sicuri‖ dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali».
Le motivazioni di una disposizione costituzionale di così ampio respiro sono da ricercarsi nel fatto che "una notevole parte dei deputati all’Assemblea costituente durante il regime fascista e durante la guerra aveva goduto del diritto d’asilo in altri Paesi, sicché ne conosceva in prima persona il valore e la necessità del suo più ampio riconoscimento sotto ogni profilo".