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L'operaio nella letteratura "paternalista" inglese del XIX secolo e la ricezione italiana della morale selfhelpista

La letteratura paternalista dalla rivolta rurale al tracollo del cartismo (1830-1848)

Nei diciotto anni che intercorsero tra l'insediamento del nuovo governo whig presieduto da lord Grey e le ripercussioni del '48 continentale, ma soprattutto il tramonto definitivo della petizione cartista, le occasioni in cui si determinarono spaccature all'interno delle classi dirigenti e dell'opinione pubblica borghese non mancarono affatto: il percorso tormentato della prima riforma elettorale, la riforma dell'istituto delle poor laws, gli importanti cambiamenti nel campo della legislazione sul lavoro verificatisi nei primi anni '30, e infine, durante l'amministrazione Peel, l'abbattimento delle ultime vestigia del protezionismo, costituite dalle restrizioni alle importazioni del grano estero, comportarono un continuo conflitto tra propagande di segno opposto che coinvolgeva tories e whigs, High Church e non-conformists, rappresentanti di interessi agrari e di quelli mercantili e industriali. E naturalmente le masse.
Queste iniziavano ad essere sempre più rappresentate nelle loro istanze sociali e politiche, pur ancora con evidenti limiti, soprattutto dai primi tentativi unionisti di superare i limiti corporativi e dai movimenti per l'allargamento del suffragio, tra i quali si impose rapidamente il cartismo.
Esso colmò in pratica il vuoto venutosi a creare con il ripiegamento delle unions, dovuto al fallimento dei diversi tentativi di costituire un sindacato su scala nazionale.
Per quanto il movimento cartista e il mondo sindacale non fossero in contrapposizione l'uno con l'altro, la scarsità di connessioni tra di loro legittima l'interpretazione di chi individua due fasi nettamente distinte, dominate alternativamente dalle rivendicazioni salariali, o comunque legate all'ambiente di lavoro, e dalla richiesta di suffragio. In questi anni segnati da divisioni profonde la working-class comincerà ad assumere un'identità peculiare, tanto che alcuni situano l'emergere di una coscienza di classe già adesso. Questa maggiore coesione, resa plasticamente dalle folle cartiste, stimolerà da parte delle classi dirigenti un approccio duplice. Da un lato ridesterà nella maggior parte della classe dirigente (tories e whigs moderati) i sempiterni spettri di nuovi possibili disordini sociali, insieme al palesarsi del pericolo di una “tirannia della maggioranza” mediante una svolta del sistema politico in senso democratico. A rappresentare queste voci nella stampa paternalista furono ancora una volta anonimi uomini di chiesa che lasciarono in pamphlets dimenticati tracce dei loro anatemi contro sindacati, radicali alla Cobbett e metodisti. La rilevanza di questo genere di stampa fu comunque assai limitata, tanto per l'esiguità nei numeri che per l'assenza di un apporto innovativo riguardo alla percezione dei ceti sociali che componevano una nazione ormai industrializzata.
L'apporto più interessante, nonché preponderante per l'eco suscitata e il volume di materiale stampato, fu invece quello della stampa propagandistica rivolta agli strati popolari da esponenti liberali, che in quegli anni di governo dovettero provare a rendere accette alle working-classes delle riforme che stavano provocando cocenti delusioni; il primo Reform bill, di portata attenuata rispetto alla stesura originaria, fu complessivamente malvisto da tutta la stampa radicale, mentre mettere mano alle poor laws significava ridiscutere un sistema consolidato di protezioni sociali, col risultato di scatenare fermenti quasi pari a quelli provocati dall'allargamento del suffragio del 1834. Dunque continuava a essere una minoranza delle classi dirigenti, costituita dal gruppo di Brougham, ormai inviso anche da una parte della sua fazione, a divulgare alle masse le proprie visioni sociali che non escludevano un paternalismo benevolente di fondo; quella che mutò fu la strategia messa in atto dalla Society for the Diffusion of the Useful Knowledge, la quale, presa confidenza col mezzo rappresentato dalla letteratura per il popolo, cominciò a prendere posizione sui temi di attualità, prima soltanto abbozzati con una certa titubanza in qualche conferenza popolare, come quelle del reverendo Smith. Non sorprende comunque trovare all'interno di questa stampa una marcata prevalenza del tema delle poor laws rispetto ad altri, quali in particolare l'allargamento del suffragio (un argomento che viene sostanzialmente censurato), su cui le posizioni di Brougham e dei radicali non erano così distanti, perché l'obiettivo rimane quello di “educare” il popolo più che di blandirlo.
In ogni caso, l'azione della S.D.U.K. fu promotrice di un lento mutamento nell'atteggiamento di fondo della borghesia nei confronti della working-class, ora distinta tra gli operai “buoni”, perché produttivi prima che deferenti, e gli altri condannati dalla loro “pigrizia” e da stili di vita inappropriati in quanto anti-economici, oltre che immorali. Prima di analizzare i testi dei vari scrittori-pedagoghi che si indirizzarono ai ceti subalterni, e in particolare il caso di Harriet Martineau, è opportuno contestualizzarli nelle vicende che accompagnarono l'Inghilterra dai turbolenti anni del regno di Guglielmo IV agli albori di una nuova età di pace e prosperità, l'inizio dell'età vittoriana.

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L'operaio nella letteratura "paternalista" inglese del XIX secolo e la ricezione italiana della morale selfhelpista

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Destefanis
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Storia
  Relatore: Gian Carlo Jocteau
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 206

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