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Migrazioni al femminile. Il caso del lavoro domestico

Lavoro domestico: meccanismi di attrazione e di intrappolamento

40% di donne provenienti dall’Europa dell’Est; 30% di donne provenienti dall’America Latina; 20% di donne provenienti dall’Asia; 10% di donne provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente [Ehrenreich e Hochschild 2002, trad. it. 2004]: quelli appena elencati non sono semplici numeri, bensì stime percentuali che attestano la cospicua presenza di donne straniere, di variegata provenienza, nei settori del lavoro domestico e del badantato in Italia. Risulta, quindi, evidente quanto il mercato del lavoro italiano sia altamente segmentato per genere: le immigrate «sperimentano presto che le loro possibilità di occupazione sono limitate entro un range specifico di mansioni, concentrate [appunto] nel lavoro domestico e di cura, tradizionalmente associate ai ruoli femminili nella sfera privata» [Di Muzio 2010, p. 142]. Come affermano Moser e Young [cit. in Morokvaśic 1984], infatti, « le donne tendono ad essere segregate in particolari occupazioni che sono attentamente delimitate da un’ideologia che connette le loro attività al genere, implicando, perciò, che la maggior parte venga impiegata in mansioni che hanno una qualche somiglianza strutturale con il loro ruolo familiare» [Ibid., p. 888].

Tale aspetto, tuttavia, non deve essere valutato soltanto dalla prospettiva dell’offerta, che consente di parlare del lavoro domestico come di un lavoro “da donne”, ma anche sul versante della domanda, giacché si delinea, altresì, come un lavoro “fra donne”, un ambito, cioè, del mercato dominato in larga misura da persone di genere femminile, siano esse lavoratrici o datrici di lavoro [Di Muzio 2010].
La connotazione al femminile di questo settore deve essere, però, considerata con la dovuta cautela, in quanto non è sinonimo di parità di trattamento o solidarietà di genere, come si evince dalle parole di Andall [cit. in Colombo 2003], la quale sostiene che «neanche il genere è neutro dal punto di vista del potere» [Ibid., p. 338] e che quest’ultimo è esercitato anche all’interno di un genere, oltre che tra un genere e l’altro, cui fa eco il pensiero di Anderson, asserendo che il lavoro domestico viene concepito come il luogo in cui «donne […] esercitano un potere su altre donne» [Ibid., p. 339].

Si verifica, quindi, una gerarchizzazione di genere, avallata dall’impiego delle donne migranti nei servizi domestici, connessa al fatto che l’aumento delle pari opportunità tra donne e uomini nel mercato del lavoro provoca un accrescimento delle disuguaglianze tra le donne stesse: «un livellamento, [infatti], della disparità tra i generi produce un incremento della disparità interna al genere femminile, che si risolve a favore del gruppo socialmente più avvantaggiato, le donne italiane» [Di Muzio 2010, pp. 192-193].

Questo brano è tratto dalla tesi:

Migrazioni al femminile. Il caso del lavoro domestico

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Informazioni tesi

  Autore: Viola Careggio
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Comunicazione Interculturale
  Relatore: Luca Storti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 175

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Parole chiave

donne
immigrazione
lavoro domestico
badante
colf

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