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La vittima: aspetti psicologici e giuridici. Il caso di Natascha Kampusch

Il sequestro di Natascha

La sera precedente il rapimento, Priklopil chiamò il suo socio dicendogli “Ciao Ernst, sono Wolfgang. Domani non ci sarò. Ho delle cose da fare”. Dopo la telefonata verificò che tutto fosse pronto nella stanza “speciale”. Stese la biancheria e gli asciugamani, sistemò i libri per bambini che aveva comprato, programmò i sistemi di sicurezza e ventilazione per assicurarsi che la pompa ad aria compressa funzionasse correttamente, controllò di nuovo tutti i sistemi di allarme e le videocamere, importanti per mantenere nascosto il suo “segreto”.
Poco dopo le 6 la mattina del 2 marzo 1998, mentre ascoltava le notizie al giornale radio, Wolfgang bevve il caffè, inserì i numerosi allarmi ed uscì.
Accese il furgone Mercedes bianco e si diresse all’appuntamento con la bambina che quel giorno sarebbe diventata un oggetto di sua proprietà.
Intanto nell’appartamento di Natascha, la signora Sirny era impegnata nella lettura di documenti riguardanti la bancarotta dei due negozi alimentari che un tempo gestiva. Aveva chiamato sua figlia intorno alle 6.40 perché si alzasse e si recasse a scuola in quanto aveva una lezione di recupero di tedesco e quindi doveva essere in classe prima dell’orario normale. La signora Sirny aveva preparato i vestiti per la figlia ma c’era stato un litigio conclusosi con uno schiaffo. In realtà la lite era il seguito di una discussione iniziata la sera precedente: il venerdì prima il padre della bimba era passato a prenderla per portarla in Ungheria nel fine settimana, con l’accordo che l’avrebbe riportata a casa non più tardi delle 18 di domenica, ma l’uomo non riuscì ad arrivare in tempo riportando Natascha alle 19.45 di domenica 1 marzo che riprese il suo passaporto dal cruscotto prima di salutare il padre.
La bambina si vestì, si fermò davanti alla porta quando sua madre provò ad abbracciarla dicendole: “Non devi mai uscire di casa per andare a scuola di cattivo umore o arrabbiata con me, perché potremmo non vederci mai più”, la bimba non era d’accordo con la madre e per farle un dispetto, se ne andò sbattendo la porta pensando che non le sarebbe successo niente.
Durante il percorso casa-scuola Natascha rimuginava sui propri problemi quando notò un uomo che la stava osservando da un veicolo di fronte a lei, a circa cinquecento metri dalla scuola. Si scrollò subito la sensazione di disagio provocata dallo sconosciuto e continuò a camminare verso di lui; una decisione che le costò i successivi otto anni della sua vita; andava verso la tragedia assorta nei propri pensieri e a testa bassa. La minaccia che davvero rappresentava quell’uomo con il furgone balenò a Natascha solo quando lui la afferrò e la spinse nel veicolo. “L’uomo scese dal furgone e improvvisamente fu di fianco a me. Mi prese per un braccio e mi buttò dentro, poi chiuse le portiere e andò via a tutto gas. Mi urlò contro dicendomi che dovevo stare ferma e tranquilla o ci sarebbero stati dei problemi”, così raccontò la ragazza una volta liberatasi dall’incubo. Pochi minuti dopo l’uomo le disse che si trattava di un rapimento e che se i suoi genitori avessero pagato un riscatto, lei sarebbe potuta tornare a casa quello stesso giorno o quello seguente. Prima di essere condotta nella casa di Strasshof, Priklopil la portò da qualche altra parte ma, durante un’intervista, la ragazza sorvolò totalmente sull’argomento.
Arrivati a Strasshof, fu tirata fuori dal furgone, spinta nella segreta e lasciata nel buio più assoluto. L’uomo aveva progettato in maniera dettagliata la stanza: vi si accedeva tramite passaggi nascosti e porte blindate; nella cella si entrava attraverso una scalinata che partiva dal pavimento del garage il cui accesso era nascosto sotto un armadietto metallico bianco. La rampa di scale conduce a una porta metallica dietro la quale se ne trova un’altra di centocinquanta chili, costruita con cemento e acciaio che si apre e chiude solo dall’esterno grazie a una serie di barre filettate, a sua volta introduce in un’anticamera dove si trova un’altra entrata, decorata con cuoricini rosa, che giunge alla prigione di Natascha. La stanza è completamente insonorizzata; all’interno su un lato c’è un letto soppalcato, sull’altro delle mensole, una scrivania, una cassettiera, un lavandino e un water. La corrente elettrica per luci, radio, tv e ventilatore potevano essere accesi e spenti dall’esterno.
La prima volta che la bambina vi mise piede non poté vederla perché era buio, ma l’uomo le portò una lampada qualche minuto più tardi. Le difese che Natascha aveva sviluppato a casa si stavano mettendo in moto. Era stata lasciata molte volte da sola dalla sua famiglia e quindi in quella circostanza non c’era niente di strano o nessun motivo di spaventarsi.

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La vittima: aspetti psicologici e giuridici. Il caso di Natascha Kampusch

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Informazioni tesi

  Autore: Annalaura Lucresi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi dell'Aquila
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze psicologiche
  Relatore: Mariano Angioni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 122

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