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I fondi chiusi di Private Equity: definizione e profili normativi

Evoluzione normativa Italiana

A circa dieci anni dall'avvio dei primi fondi chiusi si può esaminare l'evoluzione normativa relativa a questo segmento di operatori. Il marginale sviluppo iniziale dei fondi mobiliari chiusi italiani è da ricondursi, almeno in parte, alle previgenti disposizioni legislative che, imponendo vincoli troppo stringenti all'operatività, hanno probabilmente indotto a preferire la costituzione di strutture internazionali. Questi vincoli che erano dettati da principi di tutela dei sottoscrittori, dimostravano una scarsa comprensione delle logiche di funzionamento dell'attività dei fondi chiusi nei mercati internazionali; di conseguenza il ruolo svolto dai fondi chiusi italiani nell'ambito dell'attività di investimento nel capitale di rischio è stato piuttosto modesto. Dopo l'emanazione del Testo Unico della Finanza e della regolamentazione attuativa, che hanno conferito maggiore autonomia ai gestori, queste iniziative hanno avuto un rapido sviluppo.
I fondi comuni di investimento mobiliare chiusi sono stati introdotti nel nostro ordinamento dalla legge n. 344 del 14 agosto 1993, a distanza di oltre dieci anni dai fondi di tipo aperto, disciplinati dalla legge n. 77 del 23 marzo 1983. Sui tempi lunghi della normativa, pure attesa all'interno del mercato finanziario, hanno influito sia le difficoltà decisionali del legislatore, sia la scarsa diffusione, al momento di avvio del processo, di una vera cultura del capitale di rischio.
Le prime iniziative legislative risalgono alla IX legislatura con il ddl n. 1943/1986 Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare chiusi, e la proposta di legge n. 4211, Istituzione dei fondi comuni di investimento in società non quotate in borsa. Con lo stesso oggetto, nel febbraio 1987 furono presentate altre due proposte. Peraltro è da sottolineare che le prime proposte di legge, susseguitesi a partire dal 1986, si basavano tutte sostanzialmente sulla legislazione che regolava i fondi aperti, pur cercando di ricalcare alcune delle scelte adottate nei principali paesi europei nella regolamentazione dei fondi chiusi. Oltre a questi fattori alcuni aspetti tecnici hanno contribuito a tale ritardo.
Il valore unitario minimo delle quote, pari a 100 milioni, oltre ad escludere una larga cerchia di piccoli risparmiatori, non dotati di un patrimonio così elevato, rendeva difficoltosa la liquidabilità senza l'intervento di intermediari.
La necessità di richiedere il versamento dei capitali sottoscritti in un'unica soluzione durante la fase iniziale del fondo penalizzava di fatto questi strumenti rispetto ad altri alternativi non di diritto italiano.
Venivano posti limiti alla politica di investimento che impedivano l'acquisizione di partecipazioni di maggioranza e non consentivano il ricorso alla leva finanziaria ingessando l'operatività dello strumento.
Da ultimo, il vincolo di non potere distribuire i proventi realizzati dal fondo, se non dopo cinque anni dall'entrata in operatività, impediva il rapido disinvestimento di una partecipazione, anche qualora generasse delle perdite.
Il Testo Unico della Finanza (d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, TUF) e la regolamentazione attuativa successiva hanno profondamente modificato la normativa in materia di fondi comuni, migliorando sensibilmente il contesto istituzionale di riferimento. Il provvedimento Banca d'Italia del 1° luglio 1998, relativo ai procedimenti autorizzativi della SGR, ha ridotto da cinque a due miliardi la dimensione minima del patrimonio richiesto per le società di gestione partendo dal presupposto che la professionalità e l'esperienza del gestore, piuttosto che la patrimonializzazione della SGR, sono gli elementi da considerare a tutela dei sottoscrittori. Il TUF ha inoltre riconosciuto la necessità di differenziare i fondi chiusi riservati esplicitamente agli investitori istituzionali, prevedendo minori vincoli normativi e allineandone le caratteristiche operative a quelle dei loro omologhi internazionali. I decreto del Tesoro n. 228 del 24 maggio 1999 e il Provvedimento della Banca d Italia del 20 settembre 1999 hanno introdotto ulteriori modifiche che hanno avuto un impatto molto positivo sul loro sviluppo consentendo:

- L' assunzione di partecipazioni di maggioranza;

- La modalità di raccolta dei capitali attraverso versamenti richiamati per tranche al momento in cui si presentano le opportunità di investimento;

- La scomparsa dell'obbligo di quotazione delle quote del fondo chiuso, che rimane una facoltà rimessa al regolamento del fondo.

Il più recente intervento normativo, cioè l'emanazione del Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio ha ulteriormente rivisto le disposizioni relative alle SGR e ai fondi comuni di investimento ponendo le basi per un rafforzamento dell'industria del risparmio gestito e per un sostegno al suo sviluppo, razionalizzando e semplificando la normativa. La necessità di adeguamento alle direttive comunitarie ha però poi determinato la revisione delle disposizioni generali. Per questo infatti le disposizioni succedutesi nel tempo sono state raccolte in un unico provvedimento che ha abrogato quattro regolamenti precedenti, le istruzioni di vigilanza e oltre trenta comunicazioni di Banca d'Italia sulla materia.
Sono state semplificate alcune procedure relative all'accesso al mercato con la riduzione dei tempi di approvazione dei regolamenti dei fondi.
Secondarimamente è stata promossa la competitività dell'industria, sostenendo l'innovazione di prodotto attraverso la possibilità, di investire in fondi speculativi con particolari caratteristiche e prevedendo maggiori flessibilità operative (concedere finanziamenti, investire in valori mobiliari quotati..), soprattutto per i fondi riservati a investitori qualificati.
Da ultimo il sostegno alla competitività dell'industria riguarda anche la struttura organizzativa delle società di gestione, che viene resa più flessibile attraverso una maggiore enfasi sulle deleghe di gestione e sull'outsourcing delle funzioni ausiliarie.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I fondi chiusi di Private Equity: definizione e profili normativi

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Informazioni tesi

  Autore: Fabio Costarelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia della banca della borsa e delle assicurazioni
  Relatore: Andrea Pericu
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 51

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