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Di Emanuel Carnevali e altre maschere

Poesia come vita, biografia come poetica

L'intento di Carnevali, nella realizzazione del Primo Dio, è quello di farne un romanzo autobiografico, nel quale il protagonista assoluto è lui, il suo io, il poeta delle stanze ammobiliate di New York City. Una volta che emigra in America, Carnevali entra presto in contatto con l'ambiente culturale di New York e in particolare con il gruppo dei Nuovi poeti americani. La sua visione della letteratura è tanto artificiosa e montata ad arte quanto veritiera e sincera, in un moto perpetuo in cui poesia e vita si compenetrano e si fondono fino a diventare la medesima cosa. Se Marcel Proust avesse letto disteso sul letto, nella sua camera, qualcosa di Carnevali (al di là del fatto che molto plausibilmente avrebbe storto il naso e il suo elegante e pallido viso persiano da Mille e una Notte avrebbe compiuta una piccola smorfia di disgusto) avrebbe forse potuto riconsiderare la sua posizione nettamente contraria alle analisi di Charles Augustin de Sainte-Beuve. La volontà di tradurre la vita in poesia e la poesia in vita è l'intento principale di Carnevali, con la dimensione morturario-ferale sempre in agguato, come se la familiarità con la scheletrica signora Camuse sia un tratto distintivo dell'autore. Questa dimensione emerge con forza nelle strofe finali di Cipressi:

Hanno cime logore e manca loro
l'energia a drizzarle:
perché anche i cipressi sono esausti.
Si innalzano lugubri.
Sono stanchi di essere antichi.
Sono stanchi di saperne troppo sulla morte.
Sono stanchi di guardare giù a una città/che vive,che vive appena.
Sono coperti dalla polvere della strada
che passa sotto di loro.
Sono accecati dalla polvere,
esausti per essere rimasti tanto tempo lì dritti,
alti e magri.
Sono sparuti e ispidi come vecchi cani.
I cipressi mostrano il cammino alla morte.

Negli stralci di vita tratteggiati nelle pagine del libro non vengono omessi particolari, apparentemente insignificanti, o addirittura, ancora ai nostri occhi smaliziati di lettori, scabrosi e irriverenti. Si parla di sesso, di furti, di perdizione, di ubriachezza molesta, di prostituzione e si arriva a pensare e riflettere intorno alle tematiche della pederastia e della pedofilia, con una mancanza di tatto tanto più forte quanto più valida a fini artistici. Carnevali descrive i quartieri americani come una Gomorra in terra, ma proprio per questo se ne sente irrimediabilmente attratto, come in alcune righe del capitolo Mio Fratello:

C'è un sacco di movimento in queste strade, un fermento umano, eccitazione; e nei loro cinematografi si può sempre trovare una ragazza che ci sta, basta lasciare che le mani esplorino un po' nell'oscurità. (Ho fatto questa cosa ignobile un migliaio di volte. Essere un uomo d'onore significa dire tutto, anche i fatti più insignificanti e strani, anche le oscenità più impubblicabili. Perché le verità custodite da un solo essere umano sarebbero sufficienti per terrorizzare il più feroce Krafft-Ebing che si possa immaginare – come nel capitolo cancellato dei Demòni di Dostoevskij, in cui lui attende tranquillamente che la bambina s'impicchi nella stanza accanto. Ho cose peggiori da dire, e certamente ne aveva Dostoevskij, ma certe parole sono come canarini che strozzi fra le dita, le parole che non si possono dire mai).

Infatti non solo lui inserisce inserti di linguaggio quotidiano e basso (operazione quanto mai ottocentesca) ma spinge ancora di più e li traduce nell'americano più limpido e più chiaro che è in grado di esprimere. Un povero emigrante, un lavapiatti di piccoli ristoranti italiani, diventa protagonista della nascente fioritura culturale e poetica americana, affiancandosi ai più importanti esponenti della scuola modernista americana. L'intento, come espressamente dichiarato nelle lettere, di «disturbare l'America» dunque si attua. Carnevali non vedrà mai uscire il suo romanzo, non farà in tempo perché le malattie fisiche e mentali prenderanno via via il sopravvento sulla sua malattia letteraria. Un piccolo nucleo del Primo Dio uscì, come ho già ricordato, a Parigi nel 1925 (in un momento in cui già Carnevali era semi-infermo in un letto di ospedale), grazie all'intervento dell'amico McAlmon, l'indimenticato autore del suadente Vita da Geni. Il libro che esce, Tales of a hurried man, ha al suo interno i primi sei capitoli del romanzo (che comunque Emanuel Carnevali non riuscirà mai a portare a compimento) più qualche poesia e articolo di critica letteraria (spesso su autori italiani), già editi nelle riviste americane. Il libro ha una diffusione molto limitata in Francia e l'ambiente culturale rimane sostanzialmente indifferente; come se non bastasse, a McAlmon è anche impedito di distribuire il libro in America, poiché le autorità di confine bloccano l'opera con l'accusa di oscenità. Insomma l'unico libro, più o meno compiuto (e più o meno voluto), del poeta ebbe una storia editoriale così travagliata e limitata da potere affermare come Carnevali non ebbe mai un "suo" libro, ma che nonostante questo, noi possiamo accostarci alla sua poetica grazie alla produzione su rivista. Il campo privilegiato, anzi "unico", in cui Emanuel Carnevali si mosse fu quello delle piccole riviste letterarie e indipendenti americane, «unico segno di vita» che lo sterminato continente diede all'italiano.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Di Emanuel Carnevali e altre maschere

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Informazioni tesi

  Autore: Mattia Nesto
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Franco Contorbia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 51

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