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Raffaele Mattioli (1895 - 1973) un grande banchiere meridionale alla Comit

I rapporti tra Mattioli e i mass-media

Di estremo interesse erano le tecniche con cui Mattioli gestiva la propria immagine. Durante il Ventennio fascista, che Mattioli sulla falsariga di Croce tendeva a considerare una parentesi della Storia, fece in modo di non esistere agli occhi dei più.

Ci riuscì talmente bene che persino sulle successive pubblicazioni attinenti a quel periodo non venne citato. Per gli storici, Raffaele Mattioli nel periodo fascista non è mai esistito. Successivamente a quest’epoca, Mattioli iniziò a curare la propria immagine verso l’estero. Cominciò a ricevere i giornalisti, i direttori, le firme e non solo loro. Si fece indicare da Paolo Grassi i cronisti migliori, e si ingegnò per incontrarli.

Si sentiva talmente forte, addirittura insostituibile, da potersi concedere qualche sfizio. Come nel 1926 quando, accettando di partecipare a un dibattito televisivo alla vigilia della nazionalizzazione elettrica, colse l’occasione per ridicolizzare i baroni delle rendite. L’ingegner Vittorio De Biasi aveva appena finito di sviluppare le sue catastrofiche tesi sulla sovietizzazione dell’economia italiana ad opera del governo di centro sinistra, quando la parola passò a Mattioli:

“Non sono particolarmente favorevole alle nazionalizzazioni, ma non per le ragioni che qui sono state esposte. Non credo al cataclisma del post-nazionalizzazione. Quel che mi preoccupa”, rivolgendosi a De Biasi, “è che vi cadranno in testa un numero imprecisato di miliardi che non sono certo saprete utilizzare al meglio. Vedremo se sarete capaci di investire , di fare ciò gli imprenditori”.

Di Raffaele Mattioli i mass-media presero a scrivere qualcosa, negli anni Sessanta. L’interessato, astutamente giocava a rimpiattino. Apparendo e nascondendosi, che è in assoluto il modo più sofisticato per gestire la propria immagine. Anche nella distribuzione delle proprie fotografie era avarissimo. Ne pagò le spese un validissimo giornalista, Gianni Baldi, allora direttore del “Successo”, primo magazine italiano di business, dell’editore Arturo Tofanelli. Baldi, a metà degli anni sessanta, s’era messo in testa di fare una copertina con il volto di Raffaele Mattioli, ma negli archivi del giornale e nemmeno presso le agenzie fotografiche erano reperibili sue fotografie. Gliela richiese e non ottenne risposta.

Mattioli aveva una concezione personalissima della comunicazione: fare in modo che di lui si scrivesse ciò che gli interessava, e nemmeno una riga in più. Di Mattioli i mass-media cominciarono a occuparsi seriamente solo nel 1972, al momento della sua traumatica uscita dalla Comit, e in occasione della sua morte. Però nessuno avendo voglia di scavare sul come e sul perché sia stato fatto fuori, si accreditò la tesi del volontario abbandono. Assolutamente falsa. Mattioli era per il mondo della finanza laica un mito. Ciò che era importante era beatificarlo come Uomo e come Banchiere.

In realtà si era costruito un piedistallo talmente alto da non poter più discendere per invocare aiuto, al momento del bisogno. Quando nel 1972, a Roma fu decisa la sua defenestrazione, avrebbe potuto chiamare in suo soccorso i giornalisti, per un bombardamento a tappeto. I direttori e i giornalisti di fama, che ben conosceva, sarebbero stati lieti di aiutarlo, ma in questo modo avrebbe dovuto ammettere di non essere un intoccabile, di voler conservare il “posto”. Così, la sofisticazione dell’immagine gli aveva tolto uno strumento decisivo nella battaglia. E tutti finsero che se ne era andato volontariamente, segnato dagli acciacchi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Raffaele Mattioli (1895 - 1973) un grande banchiere meridionale alla Comit

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Informazioni tesi

  Autore: Daniele Merola
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2006-07
  Università: Seconda Università degli Studi di Napoli
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia Aziendale
  Relatore: Maria Carmela schisani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 85

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Parole chiave

economia
storia
banchiere
raffaele
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