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Hêmeis: lo sguardo dell’anima. Plotino, enn. V 3 [49], 3

Percezione e costituzione dell’esistenza incarnata

«Ma sembra ammesso che la sensazione sia perennemente nostra – infatti sentiamo sempre»

Plotino ha già sviluppato altrove la sua dottrina della percezione, noi insisteremo su alcuni punti essenziali al nostro discorso che ci consentono di scandire le fasi del processo di costituzione dell’esistenza corporea ed emotiva dell’anima.
In IV 4 [28], 23, 19 Plotino afferma che la presenza dell’anima e dell’oggetto sensibile è condizione non sufficiente perché si possa avere la sensazione.
L’anima, in quanto incorporeo, non subisce affezioni di alcun genere: il sensibile le sfugge in quanto tale, anche nel caso in cui attraverso la facoltà sensitiva volgesse l’attenzione verso di esso, l’anima finirebbe per «cogliere un oggetto di pensiero» (l.14) dal momento che può avere apprensione solo di ciò che ha in sé ed essa «è soltanto pensiero» (l.6). Occorre quindi un terzo elemento in grado di ricevere le impressioni, il corpo. Possiamo allora individuare una relazione a tre termini: facoltà sensitiva (anima), oggetto percepito e corpo atto a ricevere l’affezione. La sensazione non solo è estranea all’oggetto fisico ma all’affezione stessa che si produce nel corpo.
Individuare in una parte del corpo, o il corpo stesso nel caso del tatto, il medium attraverso il quale si compiono i processi percettivi risulta assai problematico, visto che ciò implicherebbe la possibilità di attribuire sensazioni e passioni ad una realtà – il corpo fisico – che presa in se stessa, cioè a prescindere dai principi intelligibili dai quali dipende, è morta, impassibile. Tuttavia le percezioni avvengono e – ciò che più ci interessa – giocano un ruolo fondamentale nel processo di costituzione della vita di «quaggiù». Dunque da un lato assegnare la sensazione esclusivamente all’anima comprometterebbe la sua incorruttibilità, dall’altro attribuire i processi percettivi al corpo in sé significherebbe riconoscergli indipendenza rispetto a quello che invece è il suo principio causale. In entrambi i casi verrebbero minati i fondamenti dell’ontologia plotiniana. Per di più la posizione di Platone, al quale Plotino si rivolge e alla cui filosofia aderisce apertamente, a riguardo non sembra essere unitaria: se da un lato, nel Fedone, l’anima si presenta come una natura unica, razionale, incorruttibile, in altri dialoghi (Repubblica, Fedro, Timeo) emerge una concezione dell’anima come natura composta di parti (tre nella fattispecie: parte razionale, irascibile e concupiscibile) e non estranea a passioni e alterazioni.
La risposta che fornisce la dottrina plotiniana risolve, almeno parzialmente, il problema: l’organo di senso – attraverso il quale sentiamo – non è semplicemente la parte di un corpo, ma è parte di un corpo vivo. Introducendo il concetto di vivente Plotino opera una mediazione insidiosa in seno all’irriducibile alterità ontologica tra l’anima – l’intelligibile – e il corpo sensibile. Il vivente, come osserva R. Chiaradonna, è il corpo inteso come «insieme organizzato e vivificato dalla causalità psichica», ossia il composto di materia e forma ove per forma non dobbiamo intendere la qualità di un corpo del quale essa condivide le proprietà, bensì una “traccia”, un’immagine dell’anima, sostanza intelligibile che non si dà al corpo. E’ dunque al corpo animato e non all’anima in sé che dobbiamo attribuire le affezioni.

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Hêmeis: lo sguardo dell’anima. Plotino, enn. V 3 [49], 3

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Informazioni tesi

  Autore: Gianluca Alessi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Daniela Patrizia Taormina
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 52

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