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La responsabilità internazionale degli stati per atti di genocidio

Le sanzioni per le persone colpevoli di genocidio e l’applicabilità della pena capitale

L'articolo V della Convenzione impone l'obbligo di prevedere sanzioni penali efficaci per le persone colpevoli di genocidio o di uno degli altri atti elencati nell'articolo III:

"The Contracting Parties undertake to enact, in accordance with their respective Constitutions, the necessary legislation to give effect to the provisions of the present Convention, and, in particular, to provide effective penalties for persons guilty of genocide or any of the other acts enumerated in article III".

Con questo articolo, dopo che i redattori ebbero definito sia il reato di genocidio sia gli altri atti elencati nella Convenzione, si decise di demandare agli Stati parte la delimitazione della cornice edittale da applicare per la punizione del crimine. Determinare le sanzioni previste per il genocidio, nel solco tracciato dalla Convenzione, da una parte, è necessario per svolgere il ruolo di repressione dei crimini in questione e, dall'altra, è utile per attuare un'opera di prevenzione.
La scelta di rimandare agli Stati parte la competenza sulle pene comminabili comporta che questi possano anche decidere di consentire l'applicazione della pena capitale. Tuttavia, il diritto internazionale non è favorevole alla pena di morte; infatti, la pena massima per il crimine di genocidio per il Codice di Crimini, per gli Statuti dei tribunali ad hoc e per lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale è l'ergastolo. Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda impose, come pena massima, l'ergastolo, definendolo a volte "life sentence" e in altri casi, "remainder of life". Termini che, in seguito, la Camera d'appello del Tribunale ritenne sinonimi. Inoltre, il Tribunale del Ruanda, nei processi per genocidio, comminò pene inferiori all'ergastolo, da un massimo di quarantacinquea un minimo di sei anni di carcere.

Anche il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia adottò questa linea. Una Camera di primo grado impose una pena di quarantasei anni di reclusione, poi ridotta a trentacinque quando l'accusa a carico dell'imputato passò dal reato di genocidio a complicità nello stesso. Un'altra Camera di primo grado inflisse una pena di diciotto anni sempre per complicità nel genocidio.

Come detto, gli Statuti dei tribunali ad hoc rinviano alla consultazione delle legislazioni nazionali per ricavare la cornice edittale del crimine in questione. A dimostrazione di quanto detto, una Camera di primo grado osservò come il massimo della pena per tale reato secondo il diritto jugoslavo fosse rappresentata da quarant'anni di reclusione, mentre un'altra ricordò come nella stessa legislazione esistesse la possibilità di comminare anche la pena di morte.
Durante la creazione del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, nel mese di novembre del 1994, il Consiglio di Sicurezza volle escludere la pena di morte, come fatto con il Tribunale per l'ex Jugoslavia. Anche se non fu applicata per molti anni, portando il Segretario Generale delle Nazioni Unite a classificare il Ruanda come uno Stato abolizionista de facto, i leader politici ruandesi rilevarono come la pena capitale fosse prevista per omicidio dal loro Codice Penale, affermando l'intenzione di avvalersene nei casi appropriati di genocidio. Nel corso del dibattito in seno al Consiglio di Sicurezza, il Ruanda dichiarò che sarebbe stata un'ingiustizia poter condannare a morte, in base alla legislazione interna, i criminali giudicati dai tribunali nazionali, mentre quelli processati dal Tribunale Internazionale, presumibilmente le menti del genocidio, avrebbero rischiato al massimo il carcere a vita. In Ruanda, per oltre tre decenni, le Nazioni Unite cercarono di eliminare progressivamente la pena di morte. Quindi, sarebbe stato del tutto inaccettabile e avrebbe costituito un passo indietro terribile introdurre nuovamente la pena capitale. Nell'aprile del 1998, in Ruanda, tuttavia, vi furono ventidue esecuzioni pubbliche di altrettanti detenuti, condannati a morte dai tribunali nazionali, anche se molte delle prove non erano state acquisite in base alle rigorose garanzie procedurali richieste dal diritto internazionale. In seguito, nel condannare i trasgressori a pene severe, il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda notò la discrepanza tra l'approccio internazionale e quello nazionale, rimarcando, nuovamente, che i colpevoli giudicati come tali dai tribunali nazionali sarebbero stati probabilmente condannati alla pena capitale.
Le prime esecuzioni del 1998, in Ruanda, furono anche le ultime e rappresentarono un parossismo, forse inevitabile, della volontà di ottenere una giustizia vendicativa da parte di un popolo alla disperata ricerca di uno sbocco per la propria rabbia. Nel passare degli anni, furono condannati a morte molte centinaia di imputati, ma divenne evidente che quelle sentenze non sarebbero mai state applicate. Come condizione preliminare per il trasferimento dei casi da Arusha, sede del Tribunale Internazionale per il Ruanda, ai giudici nazionali, il Tribunale ad hoc impose a quelli nazionali di eliminare la pena capitale. A quel punto, il Ruanda assicurò che avrebbe rispettato questa richiesta e che avrebbe modificato la sua legislazione in tal senso. Infatti, nel paese, si mise in moto un meccanismo che portò a un riesame generale delle condanne alla pena di morte nei diversi processi. Infine, nel luglio 2007, fu abolita la norma che prevedeva la condanna alla pena capitale.
Nonostante la chiara volontà delle Nazioni Unite di escludere la pena capitale dal novero delle condanne comminabili per il crimine di genocidio, le legislazioni dei singoli Stati, conformi all'articolo V della Convenzione, prevedono che questo debba essere punito con le sanzioni più gravi, almeno per quanto riguarda il reato in quanto tale. In altre parole, la sanzione può consistere in una lunga pena detentiva nell'ergastolo, ma perfino nella morte , a seconda delle norme in vigore nel sistema nazionale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La responsabilità internazionale degli stati per atti di genocidio

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Piero Cusimano
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Marco Pedrazzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 101

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convenzione per la prevenzione e la repressione de
ejusdem generis
26 febbraio 2007
vrs

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