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Repressione del terrorismo e principi costituzionali: una difficile coesistenza

La l. 22 maggio 1975, n. 152 (legge Reale)

I fatti di terrorismo e di eversione anche gravi hanno interessato il nostro territorio fin dal 1969, occorre constatare come le prime norme rilevatrici di un’attenzione "mirata" (sia pur ancora limitata) sul nuovo fenomeno risalgono alla legge 22/5/1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico) nota come "legge Reale".

La nozione di terrorismo fa, formalmente, il suo ingresso nella legislazione penale soltanto all’indomani del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, on. Aldo Moro, nel Marzo 1978, anno in cui viene emanato il d.l. n . 59 del 21 marzo, convertito in l. 18 maggio 1978 n. 191 (Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati), introduttivo dell’art. 289-bis: sequestro di persona a scopo di terrorismo e di eversione.
Per tutto un quinquennio (1968-1973) nella legislazione penale italiana era venuto configurandosi in una sorta di adeguamento del sistema penal-processuale ai principi costituzionali, un arco d’intensa protezione della persona sottoposta a procedimento penale.

Basterà ricordare il potenziamento dei diritti della difesa tecnica e personale (sia in sede di indagini di polizia giudiziaria e nel corso dell’istruttoria); i limiti alla carcerazione preventiva; l’ampliamento dei casi di concessione della libertà provvisoria; maggiori garanzie di segretezza nelle comunicazioni; e, infine, la riforma dell’ordinamento penitenziario. Gli allarmanti incrementi degli indici di delinquenza (non esclusa l’endemica lentezza delle procedure) determinarono una forte inversione di tendenza rispetto all’espansione dei diritti individuali che aveva caratterizzato la stagione a cui si è fatto prima cenno. Nel 1974 furono approvati due atti legislativi destinati a colpire direttamente e più rigorosamente le rapine, le estorsioni, i sequestri e i reati concernenti le armi.
Le nuove disposizioni, se da un lato mitigavano, facendo leva su istituti di diritto penale generale, il rigore sanzionatorio del codice vigente, dall’altro restituivano alla Polizia Giudiziaria il potere di procedere all’interrogatorio delle persone arrestate o fermate (pur in assenza del difensore) ed estendevano i termini massimi di carcerazione preventiva.

La necessità di garantire regole più rigide di convivenza sociale veniva soddisfatta nel 1975, dal legislatore, con una legge sull’ordine pubblico, la n. 152 del 22 febbraio, che suscitò vivaci polemiche e diffuse reazioni che non scemarono nemmeno dopo il referendum del 11/12 giugno 1978 che ne decretò la conservazione.
La normativa, nonostante ormai chiare manifestazioni di lotta politica armata, affrontava il fenomeno della criminalità nel suo complesso, senza distinzione fra le diverse modalità di manifestazione, assicurando una drastica contrazione del potere del giudice di concedere la libertà provvisoria per una vasta serie di reati contro l’ordine pubblico e una maggiore flessibilità nell’azione della polizia giudiziaria [fermo degli indiziati di reato; perquisizione immediata di cose e persone nel corso di ricerche di armi-(art. 4); procedura privilegiata per le forze dell’ordine per i reati commessi in servizio con l’uso delle armi (art. 32)].

Della legge Reale va ricordata l’estensione dei provvedimenti antimafia agli autori di gravi reati (art. 18). È comunque chiaro che i rimedi di polizia giudiziaria all’alterazione della legalità provocata dai nuovi fenomeni di criminalità ­anche per la loro analisi insufficiente, seguivano prevalentemente il tradizionale percorso della compressione di talune garanzie processuali e pre-processuali della persona.

L’estensione e il radicarsi del fenomeno terroristico hanno richiesto un adeguamento della risposta istituzionale. In ambito giudiziario si posero, per la prima volta, problemi di particolare complessità. I militanti delle formazioni terroristiche, quando identificati, utilizzavano i dibattimenti come occasioni di propaganda, ed attraverso uno studio attento dei meccanismi processuali tendevano a rendere impossibile un ordinario svolgimento del processi a loro carico. Quell’obiettivo era perseguito sia attraverso il rifiuto del difensore, sia attraverso la predisposizione di ostacoli illegali alla formazione dei collegi giudicanti.

Esigenze obiettive di difesa dalla pericolosità, motivarono poi l’emanazione del d.m. 4/5/77, con cui un Ufficiale Generale dei carabinieri fu preposto alla sicurezza esterna delle carceri, con poteri di controllo ed iniziativa anche sull’ordine interno degli istituti di pena.

Sul piano della metodologia investigativa si rendeva necessaria l’acquisizione di un sistema di raccordo fra diversi uffici del pubblico ministero e del giudice istruttore, chiamati ad indagare sulla stessa organizzazione clandestina, ma per fatti specifici realizzati in tempi e luoghi diversi.

Dopo alcune soluzioni "pratiche" da parte della magistratura, intervenne il legislatore con il d.l. del 21/03/1978 n. 59, convertito in l. 18/05/1978 n. 191, che con l’art. 4 introdusse la norma dell’art. 165-bis c.p.p.
Molteplici erano i problemi di natura ermeneutica, che venivano a porsi per la prima volta in una materia come quella dei delitti previsti dal tit. I cap. I lb. II c.p., scarsamente applicata sino agli anni settanta : rapporto fra delitto di banda armata e quello di associazione sovversiva.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Repressione del terrorismo e principi costituzionali: una difficile coesistenza

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Informazioni tesi

  Autore: Ilaria Lerro
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Salerno
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Elio Lo Monte
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 256

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