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L’Italia di Francesco Crispi. La riforma dei Comuni e delle Province.

L'ascesa di Crispi al potere

Nell'Agosto del 1887, quando Crispi viene chiamato alla guida del governo dopo la morte di Depretis, ha un'età avanzata (68 anni), ma è ancora energico e forte.

L'equilibrio parlamentare centrista, costruitosi attorno alla figura del defunto presidente del Consiglio, era ormai in crisi. Negli ambienti politici, l'ascesa di Crispi al potere, ebbe il significato di dare più solide basi alla maggioranza governativa, garantendo nel contempo, la piena continuità degli indirizzi politici. Fu un ricostituente così energico, da far sembrare che il governo avesse acquistato una nuova vita. In realtà, la "svolta crispina" non fece altro che ratificare alleanze già mature, sancendo nel nome di una ritrovata concordia nazionale, lo scioglimento dei contrasti interni che, già da tempo, minavano la maggioranza che sosteneva Depretis.
Tale svolta maturò attraverso una lunga crisi ministeriale, che si trascinava dal febbraio del 1887, dopo la risicata fiducia che ottenne il governo a seguito di una accesa discussione sullo scontro di Dogali. Infatti, l'8 febbraio, il Gabinetto Depretis rassegnava le dimissioni, accolte solo dieci giorni più tardi, quando già veniva a profilarsi un reincarico.
Per la confusione parlamentare degli uomini e dei partiti, e per il momento particolarmente delicato della situazione interna al paese, la successione era alquanto difficile.
L'opinione pubblica reclamava, non uno dei soliti ministeri amalgamati alla meno peggio e quindi insignificanti e transitori, ma un Governo forte e duraturo che rappresentasse veramente la volontà del Paese.

Per il re però, la composizione del nuovo governo non poteva non essere affidata che all'irremovibile Depretis. Dopo le consultazioni, si ipotizzò un rimpasto di governo che spostasse il Ministero a destra mantenendo le stesse alleanze politiche e quindi senza il coinvolgimento dei "pentarchici" e "dissidenti". Sembrava che i colloqui e gli accordi stessero portando ad un altro governo a guida Depretis. Già i giornali pubblicavano i nominativi della nuova composizione del governo, ma il Presidente incaricato, a sorpresa, rinunciò al mandato dopo aver cercato in extremis di coinvolgere anche Crispi nel governo affidandogli il dicastero di Grazia e Giustizia.

Crispi, però, rifiutò sdegnosamente rispondendo che, se avesse voluto, quell'incarico lo avrebbe potuto ricoprire vent'anni prima. A causa di una serie di circostanze, per Depretis fu inevitabile che per risolvere la crisi, i colloqui e gli accordi dovessero passare attraverso il maggior esponente dell'opposizione pentarchica e meridionale. Dunque, in quello scorcio di vissuto politico, Crispi divenne l'uomo più corteggiato sia per rafforzare la traballante maggioranza, sia per tentare un ministero di coalizione.
Infatti non riuscirono a comporre un Ministero accettabile, e declinarono l'incarico ricevuto, Robilant, Biancheri e Saracco. Fu nuovamente Depretis a ricevere l'incarico, ma questa volta si parlava apertamente di un accordo Depretis-Crispi. La Sinistra ed anche una parte della Destra avevano capito, anche se in ritardo, che l'unico parlamentare in grado di rispondere alle esigenze da più parti reclamate e capace di risolvere la crisi, era Crispi, il quale ormai godeva della fiducia del re.

Un nuovo colpo di scena si ebbe il 5 marzo quando le dimissioni del Ministero, accettate con ritardo dal Re, furono respinte e quindi si dovette tornare alle Camere.
Quando il 10 marzo Depretis si ripresentava alla Camera, Crispi fu il vero protagonista. Egli, infatti, nei colloqui tenutisi nei giorni precedenti, chiariva di non essere interessato a sostenere il governo in una posizione subalterna ed ebbe buon gioco nel dichiararsi contrario ad ogni coalizione che confondesse una chiara dialettica parlamentare.
Alla Camera parlò come portavoce di tutte le opposizioni, presentando una mozione tesa a condannare il comportamento tenuto dal governo durante la crisi. Molti furono i parlamentari che ritennero che il comportamento dei consiglieri della Corona, non era stato conforme alle consuetudini del parlamento. La mozione venne respinta per soli venti voti e, benché il governo non diede le dimissioni, la crisi era formalmente riaperta.
Crispi che diresse le sue critiche esclusivamente all'aspetto formale della conduzione della crisi, facendosi paladino di una corretta prassi parlamentare, evitò accuratamente di parlare dei programmi del governo che egli giudica "fisicamente e moralmente malato". In quegli stessi giorni Crispi teneva incontri con la Destra per delineare i programmi di un governo di coalizione.
Tuttavia, fu ancora Depretis a dirigere le operazioni, dopo aver ricevuto dal Consiglio dei Ministri l'autorizzazione a trattare con i capi più autorevoli della Sinistra per formare un nuovo ministero. Successivamente Depretis incontra Crispi per discutere il programma concordato con la Destra e valutare le richieste circa i ruoli da assegnare ai capi della Pentarchia.

Il 18 aprile, alla riapertura della Camera, Depretis annunciava con un decreto reale, di aver accettato le dimissioni di quattro ministri e di aver nominato come nuovi ministri Bertolé – Viale, Crispi, Saracco e Zanardelli. Il nuovo governo si basava sul binomio Depretis-Crispi, ma, in realtà quasi esclusivamente su Crispi, giacché Depretis, oltre ad essere alquanto esautorato. non godeva di buona salute. Crispi andava agli Interni.
Il 29 luglio, dopo una grave malattia, muore a Stradella Agostino Depretis, l'uomo che aveva ricoperto per ben otto volte la carica di presidente del Consiglio. Francesco Crispi diventa presidente del Consiglio e tiene per sé il ministero degli Interni e degli Esteri senza mutare la compagine governativa ereditata.
In pochi mesi, dunque, uno dei pilastri dell'opposizione a Depretis, rinunciando allo scontro frontale, veniva assorbito nella maggioranza mediante una manovra di tipico stile trasformistico. Ma, in quel periodo, non altri che Crispi poteva essere il successore come capo del governo.
Il Paese era disorientato, depresso per i disastri coloniali, allarmato dalle incognite straniere, stanco e sfiduciato da tanti anni di governo indeciso, infiacchito ed inutile. Per questo chiedeva un governo energico, sapendo benissimo che questa energia doveva essere profusa per cercare la migliore soluzione di tutti i problemi e soprattutto per imprimere una nuova fisionomia e un nuovo ritmo d'azione al Parlamento e alla Nazione.
Richiedere ciò ad altri uomini sarebbe stato lo stesso che a richiedere una serie di miracoli.
Ma il popolo sapeva perfettamente che Crispi era capace di assolvere quell'arduo e ponderoso compito senza miracolismi, con le sue singolari virtù e le sue arti di parlamentare e di statista; sicché su lui appuntò i suoi sguardi, la sua preferenza, la sua fiducia, e, potendo, lo avrebbe mandato al potere per suffragio quasi universale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’Italia di Francesco Crispi. La riforma dei Comuni e delle Province.

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Informazioni tesi

  Autore: Domenico La Barbera
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: UKE - Università Kore di Enna
  Facoltà: Multimediale
  Corso: Multimediale
  Relatore: Giorgio E.M.  Scichilone
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 102

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