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Programma Erasmus e mobilità studentesca: Il caso di Urbino (1990-2006)

Post-Erasmus

Il 95% della gente che fa un Erasmus esprime un giudizio molto positivo su questa esperienza. Se sotto il profilo accademico si scorge qualche segnale di insoddisfazione, la valutazione della rilevanza socio-culturale dell’esperienza è un vero plebiscito, il 99% esprime un giudizio positivo in questo senso. Dalle coste oceaniche ai fiordi pare che nessuno rimanga deluso e tutti indistintamente alla fine provano la stessa sensazione: il disorientamento nella propria terra, quella difficoltà ad affrontare la vita quotidiana come quella che un po’ tutti provano al ritorno da una viaggio importante.

In uno dei più famosi libri sul fascino del viaggio, Kerouac racconta così questa sensazione: “Guardavo l’alto soffitto pieno di crepe e non seppi chi ero per circa quindici strani secondi. Non avevo paura, ero solo qualcun altro, un estraneo…mi trovavo a metà strada attraverso l’America, una linea divisoria fra l’Est della mia giovinezza e l’Ovest del mio futuro”.

Questo senso di confusione, più la mancanza di quella comunità forte di cui si era fatto parte durante il periodo Erasmus, crea nello studente quella specie di claustrofobia che si suole chiamare sindrome da ritorno e che spesso da luogo ad un crescente bisogno di nuovi viaggi. Atteggiamento di chi sente di non aver più una casa ma in compenso di avere molti rifugi in giro per il mondo.
La testimonianza di uno dei pionieri del Progetto Erasmus, conferma proprio il fatto che un’esperienza del genere non è solo una piccola parentesi nella propria vita universitaria. Lucio Picci partì nell’ottobre 1987 per il Sussex (Regno Unito), oggi professore associato di Economia all’Università di Bologna, si soprannomina “l’uomo con la valigia in mano”.

“Una volta raggiunto il traguardo della Laurea non ho fatto altro che viaggiare, ho vinto un concorso per un dottorato negli Stati Uniti, dopodichè non mi sono mai fermato. Solo ora mi sono fermato un poco…ma solo un poco però” dice in un intervista rilasciata ad un quotidiano. E ce ne sono tantissime di testimonianze come questa, di persone a cui l’esperienza Erasmus ha cambiato la vita e che hanno vagato molto prima di trovare il proprio posto nel mondo. Con una metafora si potrebbe dire che una volta abbattuto lo steccato del proprio giardino è sicuramente più semplice avventurarsi lungo i tanti sentieri che si snodano al di là della propria casa.

Questo spiega come mai tanti ex Erasmus non si accontentano di un lavoro che somigli solo lontanamente a quello dei propri sogni, unicamente perché è il solo che il paese natale riesce ad offrire loro, ma viaggia in lungo e in largo, per andarselo a prendere il proprio lavoro. E non è assolutamente un atteggiamento di rifiuto verso la propria terra, visto che la maggior parte dei ragazzi che dopo tanto viaggiare si sono fermati in un paese che non è l’Italia, l’hanno fatto con non poca amarezza. Se non fosse per il clima di clientelismo e poca meritocrazia che vige nel nostro paese, la maggior parte di loro tornerebbe volentieri.

Come esempio si può portare il caso di Sandra Savaglio che si è conquistata la copertina del “Time” come personaggio simbolo dell’emigrazione qualificata dall’Europa all’America. Calabrese di 36 anni, ora vive e lavora come astronoma in America, è una donna di successo ma prova ancora nostalgia per il suo paese. Vorrebbe tornare, dice, “ma a fare cosa?”

“Ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire sacrificarsi per nulla, studiare tanto, lavorare il doppio e poi sentirsi abbandonati. I sistemi in Italia sono antichi, il valore dei singoli viene in secondo piano e non ti vengono riconosciuti bravura e talento. In Italia avevo conquistato un posto di lavoro vincendo un concorso ma sono finita sotto processo per truffa, era successo che qualcuno aveva interesse a sistemare la propria figlia e aveva fatto ricorso. C’è stato anche chi ha cercato di prendersi tutti i meriti di un’importante ricerca svolta da me. È una questione di rispetto e cultura che forse in Italia non impareremo mai. Non è una questione di soldi, qui guadagno il triplo di quanto guadagnerei in Italia ma sarei disposta a tornare se solo si cambiasse mentalità”.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Programma Erasmus e mobilità studentesca: Il caso di Urbino (1990-2006)

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Informazioni tesi

  Autore: Alessia Sirangelo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Alfonso Botti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 63

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