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L'immigrazione in Francia: la crisi nelle banlieues del modello d'integrazione repubblicano e i tentativi di riforma di Sarkozy

Dalla banlieue rouge alla politique de la ville

La disgregazione della comunità operaia determina così l’indebolimento della regolazione sociale che si produceva, all’interno dei quartieri, in modo collettivo specialmente nella forma di una socialità vasta ed intensa. Questa perdita di punti di riferimento diffonde, soprattutto, negli ambienti giovanili toccati dalla disoccupazione, un sentimento di disperazione e d’impossibilità di un’esistenza “normale” paragonabile a quella della generazione precedente.
La delinquenza è presentata come l’effetto di una disorganizzazione sociale, dove appare ragionevole ricorrere all’illegalità per soddisfare i propri bisogni. La repressione giudiziaria e poliziesca è percepita come eccessiva ed arbitraria, perché punisce dei comportamenti giudicati legittimi in una società fondata sull’ingiustizia. In questa situazione la regolazione sociale che prima era prodotta “spontaneamente” dalla dinamica delle relazioni produttive a livello locale è ora assicurata, con risultati largamente deludenti, dall’intervento dello Stato che da integratore diventa in una certa misura paternalista o animatore.
Lo Stato si trova ad intervenire in una situazione nella quale il mancato rispetto della norma rappresenta solo l’aspetto più superficiale del problema, seppure il più visibile: le relazioni sociali non soffrono, infatti, di un’assenza della norma bensì della loro incapacità a suscitarne una nuova, adatta alla mutata situazione sociale. Complessivamente si assiste ad una perdita di senso delle attività pubbliche e delle regole che si trovano a doversi confrontare con attori improvvisamente impazziti.
Si dà il via, dunque, alla politique de la ville, il cui primo obiettivo consiste nella rianimazione del legame sociale nei quartieri colpiti dall’esclusione. L’escalation di violenza nelle banlieues, agli inizi degli anni Ottanta, sarà all’origine dell’istituzione di tre differenti commissioni di studio sui temi dell’inserzione dei giovani nella vita professionale (1981), dello sviluppo sociale dei quartieri (1981) e della prevenzione della delinquenza (1982). I rapporti conclusi da queste commissioni daranno vita a quella che con la fine degli anni Ottanta verrà chiamata appunto politique de la ville.
Accompagnata da un generale consenso sia politico che tecnico, complessivamente l’origine di questa politica settoriale è stata caratterizzata, da un punto di vista metodologico, dalla differenziazione degli attori coinvolti, dalla messa in campo di missioni leggere e sperimentali e dalla limitazione territoriale della sua azione segnatamente attraverso le cosiddette Zones urbanes sensibles (Zus) o le Zones d’Education Prioritarie (Zep). La settorializzazione dell’intervento dello stato avviene qui orizzontalmente, a livello territoriale segnatamente attraverso la diffusione di strumenti contrattuali fra le istituzioni pubbliche, e non più verticalmente a livello di funzione: lo Stato non è più uguale ovunque ma interviene prioritariamente per ricucire il tessuto sociale laddove si è disfatto. Centri sociali, forze dell’ordine, centri di prevenzione, Zep hanno la missione di occuparsi dei giovani e delle famiglie in difficoltà dando centralità alla figura dell’assistente sociale, incaricato di contenere le nuove generazioni. Ecco allora che la politique de la ville diventa il terreno di sperimentazione di una profonda trasformazione dello Stato francese. L’unità e la forza dell’identità repubblicana è messa in discussione anche da un processo di crescente rietnicizzazione della società dove la segregazione sociale diviene culturale, prendendo la forma talvolta del razzismo, della paura dell’arabo. La segregazione assume così una straordinaria profondità psicologica e storica: il passato coloniale, per chi l’ha vissuto direttamente o attraverso la storia della propria famiglia, riappare in tutta la sua forza di fronte ad un discorso pubblico che si ostina a nasconderlo. Una società vissuta come una prigione dove è negata allo stesso tempo l’identità e la cultura delle proprie origini e la possibilità di accedere all’integrazione nel paese del quale si è formalmente cittadini. Quindi, il paradosso della politique de la ville sta nel suo dover rispondere non ad un problema specifico bensì al problema della società francese contemporanea: l’esclusione e la segregazione a più dimensioni di una sua consistente minoranza. Questo suo paradosso la rende inevitabilmente inefficace e frustrante; nonostante questo essa sembra intoccabile, anche se la sua efficacia è stata messa in discussione dalla Corte dei Conti che ne ha sottolineato il carattere dispersivo e la scarsa chiarezza metodologica.

«Più complessivamente, la politique de la ville è venuta assumendo negli anni la forma di una congerie piuttosto eterogenea di interventi che affollano con i loro acronimi impronunciabili il paesaggio politico-amministrativo francese. Vi è una trasformazione di questa geografia in una nuova vera e propria categorizzazione amministrativa del territorio che certamente contribuisce alla stigmatizzazione dei quartieri, quasi a suggerire come ad essere un problema non sia tanto la concentrazione di un disagio sociale multidimensionale in un determinato quartiere bensì il quartiere stesso. In altre parole, si ha il passaggio da una logica dei sintomi ad una logica del problema: i quartieri non sono più i rivelatori del malfunzionamento urbano bensì il problema da risolvere. » [Coppola, 2006]

Ovviamente si tratta di una soluzione molto comoda: convincere e convincersi che il problema stia in determinati quartieri piuttosto che nel funzionamento generale di una Republique sempre più malata serve ad assolvere quella parte del territorio che sta fuori dalle Zus, come se il centro di Parigi non centrasse nulla con la crisi delle sue banlieues circostanti.
Un altro dato rilevante è anche la continua produzione di strumenti di intervento, che sta ad indicare visibilmente l’inafferrabilità del campo d’intervento di tale politica, che si propone come territoriale ed intersettoriale, ma che in realtà non osa mostrare che si tratta di una ben più grave e generale crisi sociale ed urbana. Si ha quindi il paradosso di una tempesta di dispositivi ed acronimi che non fanno mai riferimento al problema bensì a tutti i possibili aspetti della crisi sociale.
La quantità dei diversi approcci alla politique de la ville è impressionante: dal programma mitterandiano Banlieue 89 coordinato dall’architetto Roland Castro al “pacte pour le relance de la ville” del 1996 proposto dal governo Juppè, dai cosiddetti grandi progetti urbani del governo Jospin fino all’ambizioso progetto di demolizione-ricostruzione lanciato dal ministro Borloo nel 2003. Gli ultimi anni di politique de la ville hanno rappresentato in qualche modo una sua rifondazione molto più importante di quanto appaia con la progressiva valorizzazione della dimensione urbana e fisica dell’intervento a danno di quella umana e sociale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'immigrazione in Francia: la crisi nelle banlieues del modello d'integrazione repubblicano e i tentativi di riforma di Sarkozy

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Informazioni tesi

  Autore: Gabriella Massa
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2007-08
  Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Giuseppe Sacco
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 200

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