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La libertà di religione nella società multiculturale: le nuove sfide dello stato laico

Il Londonistan britannico

Del tutto contrapposto al modello francese è invece quello britannico, considerando che fin dal 1978 la magistratura inglese ha deciso in segno completamente opposto rispetto a quanto espresso in Francia sulla laicità con la legge anti-velo, riconoscendosi il diritto di uno scolaro di religione sikh a indossare il turbante, anziché il copricapo previsto dalla divisa della scuola. Invero la tradizionale politica britannica, che si muove nel solco delle proprie tradizioni coloniali nei confronti delle comunità etniche formatesi con l’immigrazione sul suo territorio, implica il lasciar decidere alle comunità sulle materie che esse ritengono essenziali per la conservazione della propria identità: al punto da riconoscere ad ogni cittadino il diritto ad indossare il proprio abbigliamento rituale. Addirittura grazie al Road Traffic Act del 1988 è stata prevista la possibilità di indossare il turbante previsto dalla propria religione anche in deroga a norme sull’ordine pubblico e alla sicurezza stradale, come quella sull’obbligo dei motociclisti di portare il casco. Eguaglianza, dunque, basata non sull’identità di trattamento, come quella alla francese, ma al contrario sulla differenza di trattamento.

Senza dubbio è particolarmente importante per capire l’atteggiamento dello Stato britannico nei confronti del fenomeno religioso, tener conto che esiste oggi in Inghilterra un sistema legale parallelo alla Common Law. Giudici e corti, formati all’interno di moschee, centri islamici e scuole coraniche, hanno già emesso decine di migliaia di sentenze relative allo stato civile e familiare dei musulmani inglesi, principalmente in materia di matrimonio e divorzio, eredità e contese patrimoniali. Il manifesto di questo sistema legale islamico è lo statuto del primo tribunale sorto nel 1982 a est di Londra:“La sharia deve essere rispettata come superiore alla legge civile e alla democrazia”. L’evoluzione di questo sistema giudiziario è stata possibile grazie ad un comma del British Arbitration Act, che classifica le corti della sharia come “tribunali arbitrali”, è così possibile che le parti decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, detto “arbitro”. Peraltro un numero sempre più cospicuo di non musulmani si rivolge alle corti.

In sostanza un sistema che lascia amplissimo spazio al fenomeno religioso, che ne garantisce l’esplicarsi dei relativi diritti spesso anche prevalendo su altri valori dell’ordinamento.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La libertà di religione nella società multiculturale: le nuove sfide dello stato laico

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Informazioni tesi

  Autore: Maria Giuseppina Cappiello
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Aldo Loiodice
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 144

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