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L'esercizio collettivo delle professioni intellettuali: modelli e limiti

Rapporto tra associato e associazione

Far parte di un'associazione comporta per il membro della stessa avere determinati diritti e determinati obblighi. All'associato fanno capo i seguenti diritti: il diritto di amministrare l'associazione, qualora questa sia attribuita a tutti gli associati in maniera disgiuntiva; il diritto di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali, da parte degli amministratori, qualora non lo si è; il diritto di partecipare agli utili e di chiedere il rendiconto. Per quanto riguarda gli obblighi: in primo luogo gli associati devono effettuare i conferimenti ai fini del raggiungimento dell'oggetto sociale; essi non possono servirsi delle cose sociali per fini personali senza il consenso degli altri soci. In capo agli associati sussistono, inoltre, obblighi relativi all'esercizio dell'attività professionale in forma individuale: disciplinati in un'apposita clausola, eventualmente prevista nel contratto, circoscrivibile in vari modi.
I professionisti che appartengono ad un'associazione professionale rispondono individualmente per gli incarichi che assumono; sussiste, invece, una responsabilità solidale in caso di assunzione di incarico congiunto, indipendentemente dalla circostanza che sia possibile individuare le rispettive attività in concreto svolte.
Il rapporto tra l'associato e l'associazione può venire meno per morte, recesso o esclusione dello stesso associato dall'associazione. In relazione a quest'ultima fattispecie, la Cassazione ha ritenuto possibile l’esclusione di uno degli associati sulla base della deliberazione presa da tutti gli altri associati fatta eccezione dello escludendo, ritenendo ammissibile la sostituzione della disciplina inerente la risoluzione per inadempimento con una disciplina pattizia che non è comunque vietata dalla legge.
Nel caso in cui il rapporto si interrompe per morte dell'associato, la giurisprudenza si è spesso travata a dover dibattere sulla possibilità dello studio di continuare ad utilizzare il nome dell'associato defunto nella denominazione sociale: una risposta affermativa o negativa a tale possibilità dipende da un interpretazione letterale o meno dell'articolo 1 della legge 1815 del 1939.
La questione ha anche risvolti concorrenziali: gli studi professionali associati, qualora assumano dimensioni medio-grandi, evidenziano l'esigenza di utilizzare segni distintivi idonei ad una loro agevole identificazione, in questo senso l'utilizzo del nome dei principali protagonisti dell'associazione, in relazione alla fama o al fatto che essi abbiano fatto parte della formazione originaria dell'associazione, è elemento di identificazione importante, che avvicina l'ordinamento italiano alle esperienze straniere.

In giurisprudenza le pronunce più importanti in materia si sono avute con riguardo alla controversia sul nome “Carnelutti”, che ha visto confrontarsi le due associazioni professionali formatesi nella seconda metà degli anni novanta a seguito della cessazione dello svolgimento dell'attività professionale dello Studio legale associato costituito tra gli eredi dell'eminente giurista ed avvocato Francesco Carnelutti. In primo e in secondo grado, si registrarono due sentenze che giungevano a conclusioni opposte. Così il Tribunale di Milano, con sentenza datata 17 Maggio 2001, affermava fosse possibile l'evocazione del nome (o cognome, esclusivamente) del socio deceduto “a patto che l'avente diritto avesse acconsentito all'utilizzo dello stesso da parte della associazione”. Tale decisione, che sembrava abilitare gli studi professionali associati “all'utilizzo di segni distintivi ulteriori in quanto non incompatibili con la ratio dell'art. 1 della l. 1815 del 1939”, fu però smentita e riformata dalla corte d'Appello di Milano con sentenza datata 30 maggio 2003. In quella sede, la Corte, “con argomentazioni di indubbio spessore e rigore”, ha dato un'interpretazione letterale dell'art. 1 della l. 1815/1939, affermando che “la funzione indicata dal legislatore circa la denominazione dell'associazione è quella di semplice individuazione del nome e del titolo degli associati attuali”, e quindi ogni funzione di “richiamo” del nome dell'associazione doveva essere escluso in quanto incompatibile con la legge.
La parola passava allora alla Corte di Cassazione che, con la sentenza 1476 del 23 Gennaio 2007, ponendosi sulla scia di altre sue pronunce in merito, affermò che “la verità” doveva essere il principio cardine della normativa sulla denominazione delle organizzazioni professionali collettive.
L'applicazione di tale principio ha comportato l'impossibilità dell'utilizzo del nome dell'associato defunto, anche se questi a suo tempo consenziente. La denominazione sociale dell'associazione deve quindi far emergere, “senza ambiguità e senza aggiunte potenzialmente fuorvianti per i terzi, l’identità dei soli professionisti associati che operano in associazione”.

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L'esercizio collettivo delle professioni intellettuali: modelli e limiti

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Innaimi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Michele Perrino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 150

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