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Il bullismo: un fenomeno sociale

Il bullismo in Italia

Nel 1995 la psicologa Ada Fonzi pubblicò sulla rivista italiana «Psicologia contemporanea» i risultati parziali di un primo studio, iniziato nel 1993 e condotto nelle città di Firenze e Cosenza, dal quale risultava la rilevanza del fenomeno del bullismo in Italia.
La stampa si impadronì subito della notizia e, cercando di avvalorare i dati pubblicati ricavò, attraverso una serie di interviste agli insegnanti, un desolante quadro di prevaricazioni scolastiche, arrivando a parlare, in alcuni casi, addirittura di ricerca shock.

I dati pubblicati rappresentavano una realtà italiana in cui i livelli di incidenza del fenomeno apparivano notevolmente elevati, doppi rispetto all’Inghilterra e tripli rispetto alla Norvegia. Gli indici complessivi pubblicati alla fine della ricerca sul bullismo in otto regioni italiane confermavano, in gran parte, i risultati iniziali sulle due città campione, variando dal 41% nella scuola primaria al 26% nella scuola media, per quanto riguarda il numero degli alunni protagonisti di prepotenze agite. Elevata era anche la percentuale dei compagni implicati come vittime, il 61% circa nella scuola primaria e il 53% nella scuola media.
Agli occhi dei ricercatori si presentava così un panorama ampio e articolato che, se da un lato poneva la realtà italiana in linea con gli studi internazionali sul bullismo, dall’altro la differenziava per l’entità della diffusione del fenomeno nelle scuole primarie e medie. Le concordanze riguardavano le caratteristiche del fenomeno e i suoi correlati. Infatti, si riconosce che il fenomeno tende a diminuire con l’aumentare dell’età, in particolare nel passaggio dalle scuole primarie a quelle secondarie e che la percentuale delle femmine è minore rispetto a quella dei maschi.

Si identificano, così come già emerso dalle indagini di Olweus, Sharp e Smith, l’esistenza di due forme fondamentali di bullismo: l’una di tipo diretto e l’altra di tipo indiretto.
La prima, che si articola in prepotenze fisiche e/o verbali, parte dal prevaricatore e si rivolge direttamente alla vittima.
Nella seconda, di tipo indiretto, la vittima è intrappolata in una serie di dicerie sul suo conto e di atteggiamenti di esclusione che la condannano all’isolamento ed è proprio in questa seconda forma di prepotenza che si riscontra una percentuale maggiore di prevaricatrici femmine, mentre i maschi si orientano prevalentemente verso l’aggressività di tipo diretto.
Per spiegare, invece, le differenze tra la realtà italiana e quella europea furono avanzate diverse ipotesi alle quali risulta estremamente difficile dare conferma nell’ambito di un fenomeno complesso e pluridimensionale. Non si tratterebbe di influenze metodologiche o procedurali, dal momento che lo strumento utilizzato a livello internazionale per la rilevazione del fenomeno è il medesimo: esso consiste in un questionario anonimo, identico per quanto riguarda il contenuto delle domande e la definizione di bullismo presentata.
Potrebbe trattarsi, invece, di differenze culturali, a partire dal valore semantico del termine bullying, tradotto in italiano con prepotenze; il termine utilizzato in Italia potrebbe avere un’accezione più ampia e riferirsi ad una gamma più estesa di fenomeni.
Un altro fattore da considerare sarebbe l’uso dell’ironia nei confronti di altre persone, modalità legata alla cultura e molto presente nel nostro Paese come mezzo di autoaffermazione all’interno del gruppo. "I risultati indicano che il tipo di bullismo considerato meno grave, è essere chiamati con brutti nomi per ragioni diverse dalla razza mentre essere picchiato e essere minacciato sono considerate le forme più gravi. Se consideriamo che oltre il 50% del bullismo prende la forma di prepotenza verbale, e che proprio tale tipo di prepotenza non è considerata particolarmente grave dagli stessi ragazzi, la drammaticità del fenomeno italiano risulta forse ridimensionata, anche se non per questo meno preoccupante".

È interessante notare come nel primo libro pubblicato dalla psicologa Ada Fonzi, "Il bullismo in Italia", l’ultimo capitolo non viene chiamato "Conclusioni" bensì "Al termine del percorso"; un percorso che, secondo la stessa autrice, prevede strade inesplorate ancora da percorrere nella conoscenza di un fenomeno troppo complesso per dirsi pienamente compreso.
Molti rimangono ancora gli interrogativi a cui dare risposta e molte le problematiche aperte nel mondo scientifico, il quale tende a delineare piuttosto che a determinare, per evitare di rimanere prigioniero di certezze vincolanti e mantenere vivo un dubbio stimolante per studiare ed elaborare nuove tecniche d’indagine e di prevenzione al bullismo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il bullismo: un fenomeno sociale

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Informazioni tesi

  Autore: Selene Franceschini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze della Formazione Primaria
  Relatore: Giovanna Ceccatelli Gurrieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 122

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