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La libertà morale e il principio di autodeterminazione nell'articolo 188 del codice di procedura penale

La narcoanalisi

Il procedimento narcoanalitico consiste nell’interrogatorio del soggetto posto in stato di sub narcosi mediante un’iniezione endovenosa di perithotalso o di altro barbiturico ad azione rapida. Esso determina inevitabilmente una notevole menomazione della personalità fisio-psichica del soggetto ed una rilevante limitazione della sua libertà.
Il rilasciamento psichico e nervoso così provocato, per vincere le resistenze della volontà e per privare l’individuo del potere critico e di controllo del proprio corpo e delle proprie azioni, si risolve in una palese coercizione sia fisica che morale. Coercizione che il nostro ordinamento giuridico non prevede e non consente, né durante l’interrogatorio dell’imputato, né durante la fase di acquisizione probatoria.
C’è chi sostiene che la narcoanalisi concreti un normale mezzo diagnostico (come la radioscopia o la misurazione del polso).
Tuttavia è innegabile che l’iniezione endovenosa di barbiturico realizzi sulla persona un intervento produttivo di conseguenze notevoli, anche se transitorie.

La Corte di Cassazione ha risolto il problema negando fermamente carattere di legittimità all’uso del suddetto metodo nell’interrogatorio dell’imputato, anche se il mezzo sia da costui consentito.
Lo stato di subnarcosi non è neppure equiparabile a quello dell’infermo di mente, esso richiama a sé il principio della libertà di difesa durante l’interrogatorio e durante il dibattimento: l’imputato deve essere libero di non rispondere alle domande che gli sono poste.

La disposizione contenuta nell’articolo 13 della Costituzione, ai sensi della quale “è punita ogni violenza fisica o morale sulla “persona comunque sottoposta a restrizione di libertà”, sebbene sia diretta alla tutela della personalità umana contro ogni trattamento di menomazione e di coercizione che ne offendono la dignità, offre un argomento per caratterizzare come illecito punibile ogni forma di violenza fisica e morale posta in essere da soggetti non previsti o legittimati a ciò dall’ordinamento processuale.
L’illiceità del metodo proposto scaturisce essenzialmente dal suo contrasto con la norma dell’articolo 188 c.p.p. che presuppone una volontà libera e non coartata.

Il divieto posto al giudice di ricorrere a metodi di coercizione per far confessare un imputato non è in alcun modo derogabile. Non occorre neanche la discriminante dell’articolo 51.1° co. c.p. (rubricato “esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”, che recita: “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”) perché nell’adempimento del dovere di accertare la verità, il giudice non può compiere atti contrastanti con l’ordinamento positivo, non essendo a ciò legittimato da fini di giustizia.
Il consenso od anche la richiesta del soggetto di sottoporsi all’esperimento non esclude l’antigiuridicità dell’interrogatorio insita nell’uso stesso di tale mezzo.
Su questo punto però le opinioni dottrinali sono discordanti.

Vi è chi ritiene che solo in caso di mancanza del consenso dell’imputato alla narcoanalisi, il mezzo rappresenterebbe una tipica invasione nella sfera della libertà morale del soggetto.

In proposito si ponga il caso per cui gli esperimenti condotti tramite narcoanalisi formano oggetto di domanda da parte del difensore (consentita) dall’imputato in persona; in questo caso dunque non si tratterebbe di una coercizione nei confronti dell’imputato, ma piuttosto di un suo diritto ad ottenere l’esperimento di tale mezzo di prova.

Ci si chiede “diritto a che cosa?”

Diritto a fornire le prove dei fatti che l’imputato ritiene favorevoli al suo interesse, risponde Carnelutti (nella nota alla sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Roma, presieduta da D’Amario, il 27 aprile 1956 3), che aggiunge che si tratta di un diritto verso il giudice. Com’è proprio della sua natura processuale, egli deve fare quanto è necessario ad assumere le prove ammesse dalla legge. Fra queste ultime troviamo le ispezioni e gli esperimenti giudiziali. Carnelutti sostiene che ritenere che la narcoanalisi si risolve in un interrogatorio e non in un’ ispezione equivale a “giocare inutilmente con le parole”. “Anche l’interrogatorio è un’ispezione, ancorché psichica, anziché fisica […]. Che nel linguaggio del codice per interrogatorio si intende quello svolto dal giudice nei modi previsti (dagli articoli 294, 391, 421 c.p.p.), è un conto; ma non è detto perciò che l’imputato non possa essere interrogato anche dal perito, con l’ausilio di mezzi che agevolino o assicurino la ricerca”.

Personalmente ritengo che l’utilizzo dello strumento in oggetto si ponga in palese contrasto con l’articolo 188, ma l’illustre autore, nella nota all’anzidetta sentenza, sottolinea l’importanza di distinguere i motivi che hanno portato il giudice a non ammettere la narcoanalisi:

a) la Corte argomenta il suo diniego affermando che essa, come il lei detector, non assicura risultati certi.
Carnelutti si domanda perciò da quando una prova è assumibile solo se è idonea a fornire la certezza.
b) Motivo principe che porta al suddetto diniego fa capo alla tutela della libertà dell’imputato (articolo 64 c.p.p.).

Questi, sempre secondo il parere dello stimato autore, anche se potesse fornire con certi esprimenti sul suo corpo le prove della sua innocenza, dovrebbe dunque essere condannato in omaggio alla sua libertà?

Essere liberi implica innanzitutto il diritto di disporre del proprio corpo. Le forme elementari di libertà si riducono proprio a questo: libertà di parlare o tacere, di mangiare o digiunare, di dormire o vegliare, e così via.
Naturalmente il diritto ci insegna come il dominium sui (la libertà) incontri i propri limiti, per il bene comune, là dove ha inizio la libertà degli altri.

Nel precedenti capitolo è già stato appurato che i diritti inviolabili ed indisponibili (tra cui proprio la libertà personale) non si possono cedere, né il consenso alla loro mutilazione potrebbe essere in alcun modo validamente prestato.
Ma se, per esempio, l’imputato chiedesse al giudice l’ispezione del suo corpo al fine di far constatare che non esistono certe tracce costituenti indizi della sua colpevolezza, il giudice la potrebbe rifiutare? Allo stesso modo, la narcoanalisi può essere disposta a richiesta della difesa?

Autori come Cordero negano assolutamente tale opportunità.

Carnelutti conclude affermando che la questione ha un solo nodo cruciale, esprimibile in un interrogativo: la narcoanalisi o il lie detector possono portare all’organismo psicofisico dell’imputato conseguenze tali da doversi ritenere che il bene comune, in nome dell’integrità della persona, le proibisca? Dalla risposta a questo interrogativo tecnico dipende la soluzione del problema giuridico.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La libertà morale e il principio di autodeterminazione nell'articolo 188 del codice di procedura penale

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Informazioni tesi

  Autore: Margherita De Pieri
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Paolo Ferrua
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 156

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Parole chiave

libertà morale
codice procedura penale
principio di autodeterminazione
articolo 188

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