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Antitrust e tutela dei consumatori: il confronto con le azioni collettive risarcitorie

Pratiche commerciali ingannevoli

Le pratiche commerciali ingannevoli vengono distinte in:
- azioni ingannevoli, art. 21, Codice del consumo
- omissioni ingannevoli, art. 22, Codice del consumo
Iniziando ad analizzare l’elenco presente nel primo comma dell’ art. 21, in materia di pratiche commerciali ingannevoli si nota come, ai sensi dalla lett. a), si definisce ingannevole l’informazione falsa quando questa riguarda “l’esistenza o la natura del prodotto”, anche la lett. b) segue la stessa direzione, in quanto sottolinea l’importanza di una correttezza informativa circa le caratteristiche principali del prodotto quali: la sua “disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto”.
Continuando ad esaminare il 1 comma dell’art.21, all’interno della lettera c) si individuano elementi tra loro alquanto eterogenei: la pratica ingannevole riguarda innanzitutto la portata degli impegni assunti dal professionista e si estende anche ai motivi della pratica commerciale e alla natura del sistema distributivo.
L’elenco prosegue individuando, nella lettera d), fattispecie ingannevoli riguardanti ”il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico beneficio relativo al corrispettivo versato dall’acquirente”. La “ratio” di tale scelta si rinviene nell’intenzione di proteggere il consumatore da tutte quelle tecniche pubblicitarie che presentano un fasullo prezzo vantaggioso al fine di attirare clientela.
La fattispecie descritta dalla lettera e), invece, opera in piena coerenza con quanto stabilito dall’art. 19 del Codice del consumo, per quanto riguarda il lasso temporale cui deve ritenersi valida la tutela. A tale proposito, si può citare l’ipotesi dei contratti di garanzia che possono essere proposti in modo da sedurre e attirare il pubblico quando, invece, non prevedono nient’altro di più di ciò che è già previsto per legge.
L’interesse del consumatore alla corretta informazione, e cioè a godere dell’esatta rappresentazione di tutte le circostanze capaci di influenzare la sua volontà, è oggetto della fattispecie prevista nella lettera f), la quale prende in considerazione le notizie intorno alla “natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti”. Nell’ultima lettera g) sono riportarti i diritti del consumatore quali di sostituzione o di rimborso dei beni acquistati al fine di tutelare i soggetti durante l’intero processo dell’attività commerciale.
Terminata l’analisi del primo comma, si procede all’esame del secondo comma dell’art. 21, che descrive altre condotte che possono rivelarsi ingannevoli: le azioni confusorie e il “mancato rispetto, da parte del professionista, degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si era vincolato a rispettare”. L’obiettivo che si è prefissato il legislatore è quello di consentire una protezione nei confronti del consumatore ancora più consistente, in particolare da quelle fattispecie che si possono rintracciare all’interno dell’articolo 2598 c.c. A differenza di quanto riportato dal codice civile, affinché un consumatore possa appellarsi al contenuto dell’articolo 21 del Codice del consumo è necessario che si dimostri che tale pratica confusoria è idonea ad indurlo ad assumere “decisioni che altrimenti non avrebbe preso”.
La seconda parte della lettera a) prende in considerazione la pubblicità comparativa illecita che, almeno in questa sede, non viene chiarita né menzionata ulteriormente, seppur sia chiaro, per i non neofiti, il chiaro rimando alla lettera d) dell’art. 4 del decreto legislativo 145/2007.
La lett. b del comma 2 dell’articolo 21 descrive “il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si e' impegnato a rispettare là dove si tratti di un impegno fermo e verificabile”.
Il 3 comma dell’art. 21 del Codice del consumo censura quella pratica commerciale che può provocare l’induzione in errore di un consumatore, connettendola direttamente all’omissione di notizie importanti che possano portare gli individui a sottovalutare i pericoli.
Nello stesso ordine di tutela si colloca il quarto comma dell’art. 21, volto a proteggere i piccoli consumatori, bambini e adolescenti, che possono essere raggiunti da talune pratiche commerciali idonee a minacciare, anche indirettamente, la loro sicurezza. Esso non fa più riferimento alla fattispecie riguardante la pubblicità che abusi della naturale credulità o mancanza di esperienza di un pubblico non adulto; come pure a quella che impegnando bambini o adolescenti, abusi dei naturali sentimenti degli adulti per i giovani (ex art. 25, Codice del consumo, prima della modifica D. Lgs. 146/07).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Antitrust e tutela dei consumatori: il confronto con le azioni collettive risarcitorie

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Marini
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Comunicazione d'impresa
  Relatore: Alberto Giulio Cianci
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 149

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