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La disciplina internazionale dei diritti dei migranti: il sistema delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea

I diritti fondamentali degli stranieri

Tutti i trattati internazionali adottati in materia di diritti umani, per il solo fatto di essere adottati a livello internazionale, si rivolgono a tutti gli esseri umani e non solo ai cittadini di un determinato paese o continente, cosa che lo faranno le convenzioni adottate a livello regionale. I diritti fondamentali degli stranieri possono essere riassunti da quelli dell’uomo e sono da includere tutti quei diritti che appartengono alla categoria di norme ius cogens. Sono tali norme quelle che hanno validità universale e in ogni situazione. Ci aiuta in questo senso l’articolo 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. In casi di pericolo pubblico gli Stati parti del Patto possono prendere misure che deroghino agli obblighi imposti dal Patto a parte gli artt. 6, 7, 8 (par. 1e 2), 11, 15, 16. I diritti che questi articoli sanciscono sono validi in tutte le situazioni e valgono nei confronti di tutti gli esseri umani. Ma come sottolinea il Comitato sui diritti civili e politici nella sua Osservazione Generale numero 29, par. 6: “il fatto che siano menzionati solo alcuni articoli non significa che gli altri articoli possono essere derogati ogni volta, ma che la deroga deve avvenire dopo un attento esame della situazione basato su fatti concreti”. Un altro riferimento rispetto ai diritti fondamentali arriva da un gruppo composto da 12 agenzie delle Nazioni Unite, Banca Mondiale e dall’Organizzazione Internazionale per l’Immigrazione chiamato Gruppo Globale della Migrazione (GMG in inglese), che elenca il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, oltre alla garanzia contro l’arresto e la detenzione arbitraria; il diritto di ricevere e godere dell’asilo, il diritto di subire discriminazioni sulla base di razza, sesso, lingua, religione, nazionalità o origine sociale, o altro status; il diritto di essere protetto dall’abuso e lo sfruttamento, di essere libero dalla schiavitù, dalla servitù involontaria, il diritto di non subire tortura o trattamento crudele e inumano; il diritto ad un processo equo e di indennizzo; la protezione dei diritti economici, sociali e culturali, incluso il diritto alla salute, ad un livello adeguato di vita, alla sicurezza sociale, all’abitazione, all’educazione e a condizioni lavorative giuste e umane, oltre a tutti i diritti garantiti dal diritto internazionale dei diritti umani di cui lo Stato fa parte. Da parte sua il Comitato sui diritti umani nell’Osservazione Generale numero 15 dal titolo “La posizione degli stranieri nel Patto internazionale dei diritti civili e politici” nell’articolo 7 elenca tutti i diritti che devono essere riconosciuti agli stranieri.
L’articolo 6, paragrafo 1, del Patto internazionale inizia: “ Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve essere protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita.” La prima parte dichiara esplicitamente che il diritto alla vita appartiene a tutti gli esseri umani, mentre nella seconda parte pone degli obblighi agli stati in quanto questo diritto deve essere protetto dalla legge. Quindi gli stati hanno l’obbligo negativo di non facere, cioè di astenersi da azioni che possono mettere a rischio o privare la vita agli individui e l’obbligo positivo di facere, cioè di adottare misure di carattere preventivo e repressivo per tutelare la vita delle persone, sia di fronte a pericoli concreti ed imminenti derivanti dagli altri individui, sia nei confronti delle istituzioni e degli organi statali. È di rilevante importanza questo diritto durante l’iter migratorio e a questi obblighi si ricollegano anche altre convenzioni che tutelano il diritto alla vita.
La protezione del diritto alla vita ha grande importanza anche nella fase dell’espulsione degli stranieri. Proprio in quest’ambito di applicazione le norme sui diritti umani si scontrano con il principio della sovranità e del “domestic jurisdiction”. Il principio che gli organi internazionali di controllo sui diritti umani impongono agli Stati consiste nel fatto che uno Stato non può allontanare uno straniero verso un Paese in cui la sua vita possa essere messa in pericolo, o andrebbe incontro a tortura e trattamenti disumani. Quindi lo Stato che emette un’ordinanza di espulsione di uno straniero dovrebbe tener conto di una serie di condizioni del paese d’origine dello straniero e/o richiedere delle garanzie alle istituzioni dello stesso paese che la vita dello straniero da loro espulso non sarà messa in pericolo e che lui non sarà sottoposto a tortura e trattamenti disumani.
Un secondo diritto fondamentale di ogni persona, compreso lo straniero, è il divieto di schiavitù o servitù. Oggetto di numerose convenzioni, per quanto riguarda i migranti il divieto si collega a fenomeni più specifici di illeciti internazionali, come il traffico dei migranti. A contrastare tale fenomeno possiamo ricordare i due protocolli annessi alla Convenzione di Palermo del 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale, il Protocollo per prevenire, reprimere e punire il traffico degli essere umani, e il Protocollo sul contrabbando dei migranti
Un altro diritto importante per i migranti è il divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti. È una norma appartenente alla categoria dello ius cogens e le Nazioni Unite hanno adottato la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti nel 1984, rispetto alla quale gli Stati hanno degli obblighi positivi e negativi. All’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione si precisa che gli Stati devono adottare tutte le misure legislative, amministrative, giudiziarie o altre misure a prevenire la commissione di atti di tortura; l’articolo 3, impone il divieto di espulsione o respingimento di una persona di un altro Stato in cui vi siano gravi motivi per credere che essa rischierebbe di essere sottoposta a tortura e nel determinare tali motivi potrà tener conto anche della violazione sistematica dei diritti dell’uomo; l’articolo 4, paragrafo 1, impone agli Stati l’obbligo di penalizzare gli atti di tortura e ogni tentativo di praticare la tortura. La Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti adottato dal Consiglio d’Europa il 26 novembre 1987 istituisce un Comitato con il compito di esaminare il trattamento delle persone private della libertà per mezzo di visite periodiche o a seconda delle circostanze in ogni luogo dove vi siano persone private della libertà da parte di un’autorità pubblica.

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La disciplina internazionale dei diritti dei migranti: il sistema delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea

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Informazioni tesi

  Autore: Astrit Meta
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Istituzioni e Politiche dei Diritti Umani e della Pace
  Relatore: Antonio Papisca
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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