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L'Italia esorcizza i suoi demoni: il caso di ''Gomorra'' e ''il divo''

Parlamentarismo all'italiana

Con questo termine si vuole indicare una pratica avente luogo esclusivamente nel Parlamento, quando uno o più deputati o senatori abbandonano la parte politica che ha permesso loro di entrare nell'aula parlamentare costituendo gruppi misti o posizionandosi addirittura in uno schieramento opposto a quello di partenza. È un costume che di fatto provoca il tradimento del mandato elettorale affidato dai cittadini votanti ai suddetti parlamentari transfughi, ed è spesso sintomatico di interessi personalistici del singolo onorevole o di manovre di partito che dal punto di vista dell'elettore si configurano come sotterfugi di palazzo. Non solo: trasformismo significa anche conciliare di volta in volta gli interessi delle clientele più influenti all'interno del parlamento, con un occhio di riguardo anche alle influenze extraparlamentari degli attori più disparati del mondo economico, come banche, industrie, assicurazioni.
In sostanza quelle che oggi vengono definite lobby ma che un tempo erano i notabilati o le corporazioni.
Nell'utile volume di Luigi Musella (appunto, Il trasformismo) si ripercorre la storia parlamentare dell'Italia dal Regno ad oggi, dimostrando come la pratica trasformista sia stata sempre presente nelle due camere fino a delinearsi come una vera e propria caratteristica intrinseca ed inevitabile della vita politica italiana. Le prime tracce di tale pratica risalgono al cosiddetto "Connubio" cavouriano, che però ancora non aveva ancora assunto del tutto i tratti più tipici del trasformismo.
Il Connubio (1852, in occasione del voto di riforma della legge sulla stampa) permise a Cavour di formare un'alleanza trasversale fra la componente liberal-monarchica della Destra Storica e quella più moderata della Sinistra di Rattazzi. Il fine ultimo era quello di escludere le frange più estreme del parlamento e i cattolici dai giochi di potere oltre che, nello specifico, quello di presentare un fronte compatto alle spalle di Cavour con il quale egli avrebbe conquistato il seggio di Presidente del Consiglio nello stesso anno. I primi passaggi da uno schieramento all'altro sono però successivi. I governi della Sinistra storica, soprattutto di Agostino Depretis, si presentarono all'appuntamento col potere intenzionati a riproporre una più attenta gestione delle politiche sociali, sfruttando il malcontento nei confronti dell'operato della Destra e le nostalgie borboniche del sud. Col tempo però, tali premesse e proclami vennero meno, e la fragilità delle coalizioni della Sinistra Storica costrinse Depretis a cercare voti nell'ala moderata della Destra (come per esempio in occasione del voto sulla nazionalizzazione delle ferrovie). La "collaborazione" fra le frange moderate di entrambi gli schieramenti proseguì nel tempo, e la Sinistra perse quasi del tutto le sue prerogative, mostrando a tutti gli effetti i segni della continuità fra le sue legislature e quelle della Destra soprattutto quando elementi di quest'ultima, come Cesare Correnti o Marco Minghetti, confluirono direttamente nella parte avversa.

In realtà si può ipotizzare che una costante e prolungata prassi riformistica, illusoria speranza di "neutralizzazione" del politico, potesse significare nell'età liberale una fruttuosa e salda egemonia di classe; ma ne caso italiano, considerata la relativa debolezza della sua borghesia, il progetto di Depretis non poteva non fallire. E infatti, alla fine della sua lunga egemonia, Depretis dovette arrendersi all'evidente precarietà del suo sistema, che aveva formalmente risolto la questione relativa alla formazione di una maggioranza, ma che si logorò proprio a causa della conflittualità procurata dalle disparate componenti di questa maggioranza.

Da questo momento fino alla fine dell'Ottocento la politica parlamentare italiana si caratterizzerà dalla costante ricerca della strategia più utile e conveniente e da maggioranze estremamente mobili, che porteranno alla realizzazione del singolo interesse del notabilato di turno, come per esempio la tanto discussa riforma protezionistica (1887), nata dalla simbiosi della maggioranza al potere con i ceti agrari e industriali. Così, mentre i cattolici sottolineavano lo scollamento fra il paese legale e quello reale, i socialisti iniziarono a farsi sentire nelle campagne, e solo nel 1897 ci furono 189 scioperi. Con l'aumento della forza dei partiti cosiddetti "antisistema" come i socialisti e i clericali, le élites compresero che il sistema era ormai bloccato da un immobilismo causato dalla mancata alternanza di governo. La classe dirigente, sempre la medesima, non riusciva a cogliere le trasformazioni sociali nell'Italia di allora, quindi il mondo politico decise di affidarsi a Giovanni Giolitti. Egli cambiò volto al trasformismo, radunando al centro del parlamento non solo tutti i moderati ma anche esponenti delle opposizioni compatibili con il sistema. Inoltre, con la già ricordata riforma elettorale del 1912 e dopo il "Patto Gentiloni" i cattolici entrarono progressivamente a far parte a pieno titolo dell'elettorato moderato e liberale:

Giolitti non dovette solo affrontare le trasformazioni di una società politica che vide soprattutto l'affermarsi dei partiti popolari e del movimento operaio, ma anche quelle dovute a un rapido sviluppo economico che portarono sulla scena nuovi soggetti e attori della finanza e dell'industria. Anche in questo caso l'azione trasformistica cercò di assimilare i rappresentanti politici dei nuovi settori borghesi ai vecchi ceti notabilari, già parte integrante del sistema. La protezione economica che lo stato accordò a nuovi gruppi e individui, così come era avvenuto in passato con Depretis, divenne quindi l'altra faccia di quella politica di favori che operava attraverso il clientelismo.

Il dibattito politico fra le parti in gioco si sposta così dai seggi parlamentari ai corridoi di Palazzo Montecitorio, in particolare nel celebre "transatalntico", l'enorme salone-corridoio dove stazionano i parlamentari fra una seduta e l'altra. Nel corridoio si sfasciano coalizioni e se ne creano altre ex novo, si fa la conta dei voti e mani vengono strette per suggellare accordi. L'aula è così deprivata delle sue funzioni di trasparenza e visibilità, e la coesione fra i colleghi di partito inizia ad apparire più opportunistica ed orientata al perseguimento di obiettivi a termine medio-breve piuttosto che ideologica. Le elezioni vengono negli anni organizzate e fatte svolgere, deputati e senatori vengono eletti, ma dopo tutto ciò è il Presidente del Consiglio che organizza il governo rispondendo a logiche di clientela, con sapiente attenzione alle sue componenti. Durante il ventennio fascista, neanche Mussolini riuscì ad esimersi dalla pratica trasformista. Dagli anticapitalisti e anticlericali Fasci di Combattimento del 1919, egli giunse al potere con la forza e l'intimidazione esercitata sul territorio dagli squadristi. Ma quando si trattò di consolidare tale potere, non solo inglobò i nazionalisti di Corradini e si alleò con il vecchio partito liberale, ma si assicurò anche la non belligeranza della Chiesa (tramite i Patti Lateranensi) e l'appoggio della corte, dell'esercito, del mondo economico e della burocrazia.

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L'Italia esorcizza i suoi demoni: il caso di ''Gomorra'' e ''il divo''

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Informazioni tesi

  Autore: Antonio Aldini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingua e cultura italiane per stranieri
  Relatore: Fiorenza Tarozzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 145

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