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I profili della Globalizzazione con un particolare approfondimento sul Commercio equo e solidale

Il secolo delle Multinazionali

Che si passeggi per le strade di New York o di Nairobi, di Pechino o di Buenos Aires, la globalizzazione ha introdotto ormai ovunque un livello di cultura commerciale omogeneo e proprio per questo davvero inquietante. Basta pensare: agli scintillanti viali pieni di negozi per fare shopping tutti uguali, ai fast food che vendono ovunque gli stessi cibi ricchi di carboidrati facendo solo piccole e rare concessioni ai gusti locali; quanto ai giovani bevono le stesse bibite, fumano le stesse sigarette, indossano vestiti e scarpe di marche identiche, si divertono con gli stessi videogiochi, guardano gli stessi film di Hollywood e ascoltano tutti la stessa musica pop, tutto rigorosamente made in occidente.
Benvenuti nel mondo delle multinazionali, uno tsunami (maremoto) culturale ed economico che sta imperversando in tutto il globo sostituendo alla straordinaria diversità delle società umane una versione monolitica e occidentalizzata di benessere.
Le immense multinazionali dominano il commercio globale in ogni settore: si va dai computer ai prodotti farmaceutici sino alle assicurazioni, alle banche e ai cinema. Le holding finanziarie che le controllano sono così numerose e le loro strutture talmente intricate da rendere spesso impossibile risalire ai proprietari.
Alcuni fautori della globalizzazione sostengono che esse sono ambasciatrici di democrazia: a loro giudizio infatti il libero mercato e le libertà politiche sono inestricabilmente connessi e l’introduzione del primo condurrà inevitabilmente al sorgere delle seconde. Sfortunatamente i fatti smentiscono le loro affermazioni: le economie di mercato prosperano in alcuni degli Stati del mondo più autocratici e tirannici, mentre sorprendentemente le multinazionali si sono mostrate scarsamente interessate a trasformare quei regimi politici. Perciò Stati come Singapore, Malaysia, Indonesia, Pakistan, Russia, Colombia hanno tutti fiorenti sistemi di mercato in cui le multinazionali svolgono il ruolo di protagoniste, ma è davvero difficile annoverarli fra le democrazie sane esistenti sul pianeta.
Uno dei maggiori problemi è che lo scorso decennio la competizione planetaria per la conquista delle quote di mercato ha accelerato vorticosamente la più intensa svolta monopolistica del ventesimo secolo.
Nel gennaio 2000, ad esempio, il più grande fornitore di servizi Internet d’America, America Ondine (AOL), ha annunciato un progetto di fusione con la Time-Warner: un’operazione valutata ben 160 miliardi di dollari. È stata quindi la volta del colosso dell’industria musicale con sede nel Regno Unito, la EMI, che ha anch’essa rivelato l’esistenza di progetti per un accordo commerciale con la Time-Warner stavolta per un ammontare di 20 miliardi di dollari; dall’accordo sarebbe nata la più grande azienda musicale del mondo. E si potrebbe continuare con altri esempi di fusioni.
In base alle cifre fornite dalle Nazioni Unite, la tendenza al monopolio sta crescendo e investe un’ampia serie di industrie. La concentrazione si realizza in particolare nel settore bancario e della finanza, in quello dei media e dell’intrattenimento, nell’ambito delle tecnologie della comunicazione. Ma anche industrie più tradizionali realizzano matrimoni d’affari di enorme portata: è ciò che accade nell’industria dell’automobile e dei trasporti, ma anche nel settore delle risorse primarie come le miniere, le foreste e l’agricoltura. Oggi le dieci multinazionali più grandi controllano, nel rispettivo settore, l’86% del mercato delle telecomunicazioni, l’85% dell’industria dei pesticidi, il 70% dell’industria dei computer e il 35% di quella farmaceutica.
I mercati borsistici inoltre premiano le imprese che realizzano fusioni con l’aumento del prezzo delle azioni ritenendo che le neonate aziende, divenute più grandi, possano diventare anche più “efficienti” e contribuiscano ad accrescere i guadagni della società di gestione.
Ma più “efficienti” per chi? In realtà con le fusioni si dilapidano enormi quantità di risorse per scopi non produttivi; inoltre solo di rado si tiene conto dell’effetto sul pubblico di questo processo decisionale, realizzato interamente a livello privato.
Quando due giganti infatti realizzano una fusione, inevitabilmente l’operazione sancisce la perdita di migliaia di posti di lavoro e fa registrare la chiusura di alcune fabbriche.
Tuttavia se le dimensioni contano proprio in ragione della capacità competitiva di un’impresa, è davvero curioso che un piccolo numero di enormi aziende rafforzi anche la tendenza al monopolio eliminando la competizione. In effetti il modo più facile di avere la meglio su un avversario è quello di acquistarlo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I profili della Globalizzazione con un particolare approfondimento sul Commercio equo e solidale

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Informazioni tesi

  Autore: Alice Minardi
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2004-05
  Università: Università degli Studi di Ferrara
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia delle Amministraz. Pub. e delle Istituz. Internaz.
  Relatore: Giovanni Guidetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 175

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