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«Tant sainte chose est li graaus»: l’avventura critica del graal cristianiano fra archeologia delle fonti e interpretazione letteraria.

Lumière du graal: un concerto di voci diversamente intonate

Nel 1951 esce una raccolta di studi graaliani intitolata «Lumière du graal» a cura di René Nelli, in cui sono ospitati contributi molto eterogenei e diversamente orientati, miranti a valorizzare le varie sfumature della questione.
La prima analisi è dello stesso Nelli 1951, che conduce un’indagine etnografica sul contesto tradizionale in cui si sviluppa il mito del graal: per quest’ultimo, il riferimento generale va ai molteplici vasi di nutrimento miracoloso che si trovano nei racconti delle civiltà antiche, mentre il rimando mitologico per la lancia è alle armi di protezione guerriera e di vendetta. Questo procedimento metodologico esamina il nucleo tematico nella sua complessità, risalendo alle radici comuni di tutti i romanzi e non tenendo conto delle loro diversità letterarie; d’altra parte, la filologia e l’antropologia si basano su criteri d’esame molto diversi.
Per inquadrare meglio lo scenario, Nelli distingue tre stadi successivi entro cui impiantare la ricerca: l’analisi dei riti di fecondità, il tema dell’amore mediterraneo o provenzale, e infine il processo di cristianizzazione. Sui riti di fecondità l’autore riprende gli studi di Weston 1920 con la seguente precisazione: la processione del graal ha la specifica funzione di assicurare lo Spirito di vita, che è sempre in pericolo, mentre la ferita del Re Pescatore rimanda alla mutilazione dei sacerdoti di Cibele e ai sacrifici tributati a deità come Adone, Osiris, ecc.; l’esperienza elaborata da Chrétien de Troyes non si spiega per filiazione diretta, ma per l’esistenza contemporanea di vari riti d’iniziazione, in cui il giovane che non supera la prova diventa partecipe delle mutilazioni del re, oppure al contrario ne diviene erede. L’associazione del graal al simbolo di fecondità femminile e la lancia a quello maschile viene ripreso puntualmente da Weston, e questi segni hanno, secondo Nelli, lo scopo di preparare per Perceval un rito d’iniziazione all’amore: la madre, infatti, non lo aveva educato a diventare uomo né a cercare l’amore nella forma di un’altra donna, ed è invece proprio questo l’obiettivo a cui mirare.
Il tema amoroso appena introdotto conduce l’analisi sui binari dell’amore mediterraneo/provenzale: il fatto che il graal sia portato da una donna dovrebbe sviluppare nell’uomo che lo contempla una forza morale per resistere, in primo luogo, allo slancio carnale che egli deve reprimere, e successivamente per sublimare tale desiderio in un amore puro, divino (come accadrà nel Parzival di Wolfram von Eschenbach); non è attraverso Blanchefleur infatti che Perceval può accedere al Regno Supremo, ma al contrario – secondo la tipica maturazione dei cavalieri cortesi – deve sottomettere il corpo al cuore per riconquistare la propria anima. Il mito del graal quindi crea un gradino di scarto rispetto ai miti dell’antichità, in quanto l’amore verso una donna viene trasfigurato in una forma di amore divino, unico propellente capace di spingere a grandi imprese.
Siamo al terzo e ultimo passaggio, quello che motiva le caratteristiche del graal per come appaiono compiutamente in Chrétien (e conseguentemente in tutti gli altri romanzi di questo “ciclo”). La cristianizzazione si attua in questo caso attraverso la conformazione del vaso in un calice che contiene un’ostia (ma Nelli sembra non tener conto che il cibo e la bevanda di salvezza erano contenuti da due recipienti diversi), secondo l’evoluzione del primitivo vaso contenente la divinità, da cui viene santificato. L’ostia, il cui valore divino diventa dogma nel 1215 (negli stessi anni in cui si sviluppava il mito graaliano), rappresenta l’Agnello che sanguina, la luce di Cristo, il nutrimento per la vita eterna: è il mezzo in cui si incarna e manifesta l’Amore, unendo l’uomo al divino e conciliando l’amore per una donna con quello per Dio.
Secondo questa argomentazione non è così probabile il riferimento univoco alla derivazione celtica: si può solo concedere che gli elementi che rimandano alle tradizioni delle isole britanniche siano gli stessi comuni anche ai popoli mediterranei, risalenti entrambi a un fondo comune indoeuropeo già sorpassato al tempo di Chrétien.

Questo brano è tratto dalla tesi:

«Tant sainte chose est li graaus»: l’avventura critica del graal cristianiano fra archeologia delle fonti e interpretazione letteraria.

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Informazioni tesi

  Autore: Marta Peruzzo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Alvaro Barbieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 64

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Parole chiave

filologia romanza
graal
chrètien de troyes
perceval
romanzo cortese

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