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''Io ho paura''. La violenza e il terrorismo degli anni Settanta nelle fonti cinematografiche italiane

Il cinema e il Sessantotto

Il movimento culturale del 1968 ha avuto inevitabilmente anche dei punti d’incontro con il cinema, incontro che ha coinvolto figure e istituzioni che nella storia del cinema europeo hanno contato e conteranno a lungo.

Come scrive Peppino Ortoleva nel saggio Naturalmente cinefili, Il ’68 nel cinema: «Un incontro naturalmente c’è stato e non solo marginale: ha coinvolto figure e istituzioni che nella storia del cinema europea hanno contato e conteranno a lungo.

Si è trattato di un incontro intenso, carico di misterioso e quasi unanime entusiasmo: si pensi alla pacifica accettazione da parte del mondo del cinema italiano, di una proposta originariamente pensata come puramente provocatoria quale soppressione dei premi a Venezia; o all’adesione in Francia agli ètats gènèraux du cinèma, di autori che erano stati fino allora, e sarebbero tornati presto, su posizioni politiche ben diverse, e si è trattato anche di un incontro complesso e sfaccettato».

Le contestazioni in Francia toccarono la 21ª edizione del Festival di Cannes che si svolse dal 10 al 19 maggio 1968, quindi nel pieno delle mobilitazioni del maggio francese. Il Festival fu invaso dagli studenti in rivolta fin dal 13 maggio; e il 18 maggio un gruppo di cineasti, tra i quali spiccano François Truffaut, Jean-Luc Godard, Claude Lelouch, Claude Berri, Roman Polanski, Louis Malle e Jean-Pierre Léaud, utilizza Cannes come palcoscenico per protestare contro la decisione del ministro della cultura André Malraux di rimuovere Henri Langlois dal posto di direttore della Cinémathèque française.

I registi colgono questa occasione anche per fondare la Société des Réalisateurs de Films (SRF), che dall'anno successivo organizzerà una selezione parallela a quella ufficiale del Festival, la Quinzaine des Réalisateurs. Louis Malle, Monica Vitti e Roman Polanski si dimettono dalla giuria, Alain Resnais, Carlos Saura e Milos Forman ritirano i propri film dal concorso.

A mezzogiorno del 19 maggio il delegato generale Robert Favre Le Bret è infine costretto a interrompere il Festival, senza assegnare il palmarès. Da questa vicenda il festival non fu indebolito, ma ne uscirà addirittura più forte, traendo dei benefici dalle critiche e migliorandosi grazie ad esse.

Ortoleva prova poi a inventariare i punti d’intersezione tra la grande ribellione e la produzione filmica: «Il ’68 è stato in primo luogo un’occasione di crisi e in qualche misura di sovversione delle istituzioni consolidate della cinematografia europea, dalle clamorose contestazioni ai due maggiori festival, Cannes e Venezia, che si sono appena richiamati, alle agitazioni in alcune delle maggiori scuole di cinema, Ulm, Monaco e Roma.

In secondo luogo è stato spunto e terreno di ricerca linguistica, e infine oggetto di rappresentazione filmica, topos narrativo partecipato o satireggiato». Analizzando la produzione filmica italiana che anticipò le movimentazioni sessantottine, troviamo alcuni film da segnalare per capire lo stato d’animo che c’era in quegli anni.

Uno di questi è I pugni in tasca del 1965, del regista Marco Bellocchio. Lo studioso Vincenzo Camerino analizza la pellicola in Il cinema e il ’68: «Si tratta di uno dei debutti più fulgidi del dopoguerra, ricco di atmosfere e intriso di una raggrumata ira, l’opera prima Bellocchiana mostra con robustezza espressiva la quantificazione della tristezza degli (e negli) universi chiusi e concentrazionari, e suggerisce l’imperiosa urgenza di abbattere i rami secchi delle istituzioni».

Un altro film da non trascurare è Uccellacci e uccellini del 1966 di Pier Paolo Pasolini. Pellicola interpretata dagli attori Totò e Ninetto Davoli, in cui durante un cammino parlano di vita e di morte con un corvo parlante, e come viene precisato durante il film anche da una didascalia: «Per chi avesse dei dubbi o si fosse distratto, ricordiamo che il corvo è un intellettuale di sinistra - diciamo così - di prima della morte di Palmiro Togliatti».

Il dizionario del cinema Morandini lo definisce: «Un film-saggio di stimolante originalità, il quarto film lungo di P.P.P., operetta poetica nella lingua della prosa, propone in brevi favole e in poetici aneddoti una riflessione sui problemi degli anni '60: crisi del marxismo, destino del proletariato, ruolo dell'intellettuale, approssimarsi del Terzo Mondo. Con la sua divagazione evangelico-francescana, è anche un apologo umoristico che in alcuni momenti ha l'umiltà e la densità del capolavoro».

Questo brano è tratto dalla tesi:

''Io ho paura''. La violenza e il terrorismo degli anni Settanta nelle fonti cinematografiche italiane

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Informazioni tesi

  Autore: Bruno Brenno Ferrari
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze dell'amministrazione
  Relatore: Alberto Melloni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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