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Follia, genialità, santità. Diagnosi psicopatologica o fenomenologia di stati di coscienza supermentale?

Il salto qualitativo della mente umana

“Un esperto di primati una volta ha detto che non si capisce come mai Edwuard O. Wilson riesca a notare le differenze esistenti tra due specie di formiche da cento metri di distanza, ma non sia mai riuscito a vedere la differenza che separa uno scimpanzè da un essere umano”
(M. Gazzaniga, in T. Pievani, L’evoluzione della mente, 2008, p. 37)

Il neurofisiologo Michael Gazzaniga intervenendo alla prima Conferenza mondiale intitolata The Future of Science, svoltasi a Venezia dal 21 al 23 settembre 2005, ha affermato che l’ipotesi dell’unicità del cervello umano è odiata da molti scienziati, semplicemente perché risulterebbe più difficile studiarne la sua fisiologia, organizzazione strutturale e sistemica (Pievani T. 2008). Noi aggiungiamo, d’altra parte, che lo studio del modello animale offre evidenti limiti dal momento che il cervello umano ha strutture sue proprie e quindi diventa quanto mai azzardato trasferire conoscenze dedotte dallo studio animale agli esseri umani. Con lui, siamo, dunque, convinti che lo sforzo di concentrare l’attenzione sul fenomeno umano, in questo senso, vada fatto a costo di essere esclusi da questo “club” esclusivo di scienziati e al ludibrio dell’opinione comune. Nel nostro caso, poi, questa distinzione diventa importante non per se stessa, ma perché apre all’ipotesi che il fenomeno mentale e la coscienza di esso sia potuto evolvere sia secondo la linea quantitativa, cosa ormai indubbia, ma anche in via qualitativa, cosa più difficile da accettare.
Il filo rosso che lega tutta la prima parte di questo studio e cioè l’idea che nell’uomo si possano sviluppare stati di coscienza supermentale, si situa in questa direzione e trova in questa seconda parte dei supporti scientifici che se non confermano tale ipotesi, in qualche modo la rendono plausibile e degna di essere espressa. Steven Rose (1973), ad esempio, nel suo “Cervello e coscienza” , ammette che “la comparsa della coscienza ha cambiato qualitativamente il genere dell’esistenza umana; confermando con ciò che diventa ovvio il crearsi di un nuovo ordine di complessità, un più elevato grado di organizzazione gerarchica” (p. 165), che ovviamente pone il problema sullo sviluppo conseguente dell’intelligenza e quindi della mente.
Lo psicologo e biologo evoluzionista Marc Hauser, della Harvard University, su questa linea di pensiero ha trovato nel 2009 il coraggio di coniare il termine di humanuniqueness (tr. Umanunicità), presentando quattro caratteristiche esclusive della mente umana che proverebbero il salto qualitativo rispetto la mente animale e perciò stesso l’unicità degli esseri umani. Si direbbe, dunque, che contrariamente a quanto sosteneva Charles Darwin e condiviso a lungo dagli studiosi - e in questo consiste il coraggio del nostro biologo - la differenza tra mente umana e menti non umane sia in realtà di tipo e non di grado.
I quattro tratti distintivi, le prove cioè del divario mentale che ci separa dalle altre specie, sarebbero sostanzialmente quattro: la computazione generativa, la combinazione promiscua, i simboli mentali, il pensiero astratto.
La computazione generativa consente la creazione di varietà virtualmente illimitate di parole, concetti e oggetti, attraverso operazioni ricorsive e combinatorie; la combinazione promiscua permette la mescolanza di tipi diversi di accesso alla conoscenza - come l’arte, il sesso, l’amicizia - dando origine a nuove relazioni sociali e tecnologie; i simboli mentali codificano non solo le esperienze sensoriali reali, ma anche quelle immaginate, producendo sistemi di comunicazioni complessi; il pensiero astratto, infine, permettere di riflettere su questione metafisiche, che vanno al di là di ciò che passa attraverso i nostri sistemi sensoriali (M. Hauser, 2009). Tutte queste facoltà si strutturano attorno al concetto di creatività, caratteristica dell’uomo che gli ha permesso di far emergere la varietà di culture che popolano e hanno popolato il pianeta. Peraltro, consentendo a noi di ritenere che vi siano ulteriori possibilità di sviluppo.
Non staremo a disquisire in questo luogo i fondamenti biologici dell’ipotesi di M. Hauser, i quali criticano la troppa rilevanza data alle prove genetiche sulla condivisione del nostro corredo con quello delle scimmie. Si tratta di temi, infatti, ampiamente dibattuti nella letteratura scientifica. Quello che ci interessa più da vicino è che le caratteristiche indicate come tipiche dell’uomo siano da una parte assai significative per ammettere con lo sviluppo delle capacità mentali anche quello di una coscienza che riflettendo su di esse espanda le proprie facoltà; d’altra parte sembrano essere poco o per nulla tenute in considerazione dalla psicologia. Penso ad esempio alla capacità trascendente, la quale permette di far rientrare il pensiero metafisico, non dogmatico ma immanente, all’interno degli studi scientifici: ovviamente, non nei suoi contenuti, ma piuttosto nelle sue ricadute sul comportamento. Quest’aspetto aprirebbe un ampio campo d’indagine da mettere a confronto con la psicologia che proviene dal mondo orientale, la quale si è spinta molto di più di quella occidentale nell’osservare fenomeni che noi troppo rapidamente abbiamo definito come appartenenti alla sfera religiosa e quindi derubricati come non oggetto di indagine scientifica.
In soccorso del povero M. Hauser, ferocemente delegittimato dopo la produzione di questa ipotesi, viene a nostro avviso V. Gallese (2003). In un recente articolo, interno al dibattito sui fondamenti biologici dell’intersoggettività dedotti dalle recenti scoperte sui neuroni specchio presenti nell’uomo, questi ha evidenziato come l’imitazione precoce del neonato, che implica la capacità di comprendere il significato di ciò che viene imitato, pone la questione controversa, in ambito psicologico e in primatologia, se tale capacità imitativa sia da ascrivere alla specie animale in genere o sia piuttosto una prerogativa della nostra specie. Anche in questo caso, come abbiamo diverse volte riscontrato in questa ricerca, la forma dubitativa nasconde una forma difensiva nel proporre dei convincimenti che si suppone possano destare scalpore. Quindi, riteniamo che V. Gallese abbia già fondati motivi per ritenere di aver intercettato una prerogativa specie-specifica dell’essere umano, o quanto meno noi propendiamo per questa ipotesi.
Sta di fatto che seguendo il fenomeno della creatività dobbiamo, per forza di cose, ragionare su un sistema di coscienza che supera le capacità mentali e integra tutto l’uomo e l’ambiente che lo circonda l’ambiente, fino a collegare realtà spazio temporali che oggi riterremo impensabili da mettere insieme

Questo brano è tratto dalla tesi:

Follia, genialità, santità. Diagnosi psicopatologica o fenomenologia di stati di coscienza supermentale?

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Informazioni tesi

  Autore: Emilio Cibotto
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Silvia Perini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 130

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