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La gestione delle diversità nei servizi educativi, sociali e sanitari. Una ricerca empirica nella provincia di Bergamo.

L’evoluzione del diversity management

Come precedentemente illustrato, la letteratura inerente la tematica della gestione della diversità nasce nel corso degli anni ’80 nella cultura del mondo del lavoro statunitense, con l’obiettivo specifico di produrre strategie destinate alla promozione delle pari opportunità di due principali minoranze ritenute svantaggiate: quella femminile e quella della disabilità.
Solo negli ultimi anni ha avuto inizio una riflessione riguardante nuove categorie di diversità, fra cui quelle legate all’orientamento sessuale, all’età, alla religione, all’appartenenza etnica ed infine, meno esplicita ma non meno importante, quella della qualifica professionale. Dal punto di vista teorico, il diversity management può essere considerato la naturale prosecuzione del percorso della tutela delle pari opportunità e delle azioni positive.

Questo nuovo approccio differisce da queste ultime perché si basa sulla valorizzazione delle differenze non in termini quantitativi, bensì qualitativi: il modello di gestione della diversità supporta una profonda attenzione ai risultati organizzativi, guidata da una riflessione strategica che mette sullo stesso piano i risultati ottenibili dall’erogazione dei servizi – quello che nelle organizzazioni aziendali viene comunemente definito come profitto – ed i comportamenti e le attitudini che contribuiscono al successo dell’organizzazione. Il passaggio successivo alla comprensione delle diversità, significa quindi creare opportunità affinché gli individui possano esprimere al massimo il proprio potenziale, al fine di ottenere il massimo della produttività, dell’impegno e della qualità, sia per quanto riguarda il profitto dell’azienda, sia per quanto riguarda la soddisfazione di ogni singolo operatore.

Si fonda quindi non sull’idea di inclusione di una particolare tipologia di persone, come invece sviluppato all’interno delle pari opportunità – donne, disabili, ultraquarantenni, stranieri – ma di tutti gli individui che fanno parte dell’organizzazione stessa. Non si tratta quindi di elementi di diversità appartenenti a specifiche categorie di persone, ma di diversità che possono essere di natura professionale, come knowledge, skills e capabilities, oppure bisogni e desideri che vengono manifestati nei diversi momenti della vita di una persona.

Monitorando tali elementi, le organizzazioni possono così sostenere un clima di riconoscimento e di conseguente accettazione delle diversità: è però evidente che, nonostante l’attenzione a promuovere le diversità come valore, aderire ai desideri e ai bisogni delle persone non sempre può rivelarsi nell’immediato economicamente vantaggioso, sia per quanto riguarda i costi di tipo economico, sia quelli a livello temporale.

Riassumendo, a livello teorico è possibile distinguere tre diversi modelli attraverso i quali trattare la differenza in ambito organizzativo: il modello delle azioni positive, attraverso le quali si mira a raggiungere l’uguaglianza di opportunità; il modello della valorizzazione della diversità, in grado di enfatizzare, comprendere ed apprezzare ciò che si presenta come differente ed infine, il modello del diversity management, che si pone come obiettivo mettere gli individui nella condizione di offrire prestazioni adeguate al proprio potenziale.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La gestione delle diversità nei servizi educativi, sociali e sanitari. Una ricerca empirica nella provincia di Bergamo.

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Informazioni tesi

  Autore: Marina Bonfanti
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Programmazione e gestione dei servizi e delle politiche sociali
  Relatore: Ida Castiglioni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 159

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