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Sessualità e percezione di Sè nella malattia di Charcot Marie Tooth

Sessualità e disabilità

Quando si parla di affettività e sessualità in una persona disabile, emergono molti pregiudizi e atteggiamenti di rifiuto, accompagnati dalla tendenza a ignorare del tutto l’argomento. Generalmente si tende a ritenere che l’amore e l’unione possa avvenire solo fra persone in perfetta (o quasi) efficienza fisica e mentale e che tale unione debba concretizzarsi sempre e comunque in un rapporto di coppia fra persone in grado di avere rapporti completi e di generare figli formando così una famiglia. D’altro canto le persone disabili non sempre rispettano questi canoni, molte di loro hanno difficoltà nell’avere rapporti completi e non hanno l’autonomia sufficiente per garantirsi una vita di coppia indipendente dagli altri o per creare un nucleo familiare.
La percezione delle problematiche legate alla sessualità è naturalmente diversa a seconda del tipo di handicap (fisico, psichico, sensoriale), della causa (genetica o conseguente a trauma, malattia ...), dell’età di insorgenza e del genere (maschio, femmina). In questo capitolo faremo una panoramica di ciò che è presente in letteratura rispetto alle problematiche sessuali delle persone con disabilità, a prescindere dalle variabili appena enunciate. In un secondo momento ci focalizzeremo sulle condizioni di disabilità motoria e sulle problematiche sessuali in presenza di patologie genetiche ereditarie, di malattie neurologiche, di malattie neuromuscolari e, nello specifico, nella malattia di Charcot Marie Tooth.
Purtroppo le tematiche relative alla sfera affettivo-sessuale nelle persone disabili sono state poste all’attenzione generale con notevole ritardo rispetto ad altri temi come il lavoro, la scuola, la famiglia, le barriere architettoniche. Infatti, solo alla fine degli anni ‘70 si aprì il dibattito sull’affettività e sessualità delle persone con handicap ponendolo all’attenzione di genitori, operatori, servizi socio-educativi, assistenziali e riabilitativi. Il primo articolo “Quando il sesso è dell’handicappato non se ne parla”, di Camillo Valgimigli, risale al 1976 e fu pubblicato sul Corriere della Sera. In quegli anni erano disponibili pochi contributi stranieri con pochissimi interventi reperibili in italiano: “Sessualità e debilità mentale” di J. J. Einsering, e “Aspetti psicosociali, neurofisiologici e terapeutici della funzione sessuale dei traumatizzati del midollo spinale” di J. J. Hachen, ai quali seguirono due saggi di W. Pasini e G. Pellerin sulla sessualità dei cardiopatici, nella rivista: “Contraccezione, fertilità, sessualità” (1976).
Il primo ad affrontare in Italia il tema della sessualità dei disabili fu Cesare Padovani che, nel libro “La speranza handicappata” (1974), dedicò un intero capitolo al “Sesso sottovoce”, ai problemi, cioè, di cui non si parla e che pur emergono prepotentemente. Furono comunque Rosanna Benzi e Camillo Valgimigli a porre il problema della sessualità all’attenzione generale nel 1976. Con l’articolo “Sei dimezzato e non avrai sesso” e l’apertura di un dibattito pubblicato nella rivista “Gli altri?” da lei diretta, la Benzi avviò la discussione soprattutto tra i disabili e i loro familiari e offrì lo spunto per l’organizzazione di un congresso internazionale “Sessualità e handicappati”, tenutosi a Milano nel 1977 che rappresentò la prima esperienza organizzata in Italia di un approccio scientifico al problema della sessualità degli handicappati, sia fisici che psichici (Baldaro Verde, 1987). Da allora molto è stato detto, scritto e fatto, eppure, ancora oggi, molte persone con disabilità trovano parecchi ostacoli nella costruzione di una propria identità sessuale e nell’espressione della stessa.
Gli studi e le ricerche sulla sessualità umana hanno ampiamente dimostrato il ruolo positivo della stessa nel quadro del funzionamento generale di ogni individuo. Attorno alla corporeità si sviluppano importanti esperienze, il cui valore travalica la dimensione della corporeità fisica. Le relazioni tra soma e psiche, e le dinamiche che ne scaturiscono, sono alla base di eventi che risultano cruciali nel percorso di sviluppo umano (Galimberti, 1997). A partire dagli studi e dalle ricerche di Schilder (1935) su immagine di sé e schema corporeo si è compreso che i processi di crescita e di sviluppo che investono il corpo non riguardano solo la fisiologia, ma anche la psiche. Il corpo modula processi educativi (Le Boulch, 1979), e le particolari e specifiche modalità attraverso le quali ognuno vive la propria corporeità si riflettono sul più ampio e generale percorso di costruzione della coscienza di sé (Galimberti, 1997). In particolare, i vissuti connessi alla corporeità, specialmente durante la fase puberale – a causa delle trasformazioni che investono l’apparato sessuale e riproduttivo – si configurano come passaggi cruciali verso la progressiva definizione della propria identità sociale (Erikson, 1956).
Percezione, espressione, concettualizzazione e soddisfazione dei bisogni corporei sono quindi tappe fondamentali dello sviluppo sano ed equilibrato della persona (Veglia, 1991, 2000; Mannucci, 1997). L’organizzazione e l’evoluzione della coscienza corporea si configura quale struttura fondamentale del funzionamento mentale (Baldaro Verde, 1987).
Il corpo, quindi, fa da fondamento rispetto al processo psichico che porta alla costruzione dell’identità personale. Questo modo di concepire l’argomento assume particolare valore proprio laddove ci si confronta con condizioni di salute connesse a situazioni di disabilità.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sessualità e percezione di Sè nella malattia di Charcot Marie Tooth

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Informazioni tesi

  Autore: Paola Gargiulo
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Fabio Lucidi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 140

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