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Per una bioetica globale: povertà e responsabilità morale in Peter Singer

La critica di Colin McGinn

Colin McGinn, docente di filosofia all’università di Miami, ha scritto un saggio in cui prende di mira la posizione di Singer che abbiamo descritto nel secondo capitolo. Analizzeremo questo saggio, intitolato Our Duties to Animals and Poor, limitatamente alla parte dedicata al problema della povertà.
McGinn comincia il suo saggio affermando che c’è tanta sofferenza nel mondo, e una grande quantità di male spesso evitabile che sarebbe bene cancellare completamente, e che la sofferenza legata alla povertà estrema è sicuramente un male di tal genere. Davanti all’odierna situazione della povertà mondiale sorgono, quindi, determinate domande: quali sono i nostri doveri morali nei confronti di questa sofferenza? Abbiamo il dovere di diminuire la sofferenza e prevenire la morte di chi vive in condizioni di estrema indigenza?
Singer, come abbiamo visto, ha sostenuto, con argomentazioni suggestive, che noi abbiamo questo dovere e che se non lo osserviamo possiamo essere, e saremo, accusati di aver agito in maniera sbagliata. McGinn, al contrario, afferma che non c’è nulla di moralmente sbagliato nel non donare grosse somme di denaro al Terzo Mondo. Vediamo perché.
Come abbiamo precedentemente visto, per Singer è moralmente sbagliato lasciar morire qualcuno a meno che non ci sia qualche beneficio che sia equivalente al danno inflitto: dato che non doniamo abbastanza denaro per ridurre carestie, malattie e miseria degli esseri umani più poveri del mondo, pur potendolo fare senza sacrificare nulla d’importanza morale comparabile, ciò significa che agiamo in maniera moralmente sbagliata. Sicuramente il costo del nostro invio di denaro per l’assistenza non sarà così impegnativo in confronto ai benefici provocati: salveremo la vita di un bambino, mentre noi ci priveremo semplicemente di un film al cinema o di una cena al ristorante. Quindi, come sottolinea McGinn:
La forza dell’argomento deriva dal fatto di attirare l’attenzione sulla grave disparità fra benefici egoistici che possono derivare da certe azioni e il danno ad altri che queste stesse azioni provocano, presentandoci come gente preoccupata più dei propri futili piaceri che della vita di altri esseri umani. Siamo pronti a causare o a tollerare un’indicibile miseria negli altri, purché, nel procedimento, ci venga qualche piccola e superficiale quantità di piacere. E forse niente può essere tanto immorale quanto questo. Gravi sofferenze altrui sarebbero sotto il nostro controllo, ma noi, piuttosto che rinunciare ai nostri futili piaceri, scegliamo di provocarle o di permetterle.

Singer dunque afferma che se possiamo evitare un grande male, senza con ciò sacrificare qualcosa d’importanza morale comparabile, abbiamo il dovere di farlo; per illustrare il suo principio egli fa il già citato “esempio del laghetto”. Accettare questo principio, apparentemente indiscutibile, richiederebbe però un cambiamento radicale del nostro stile di vita. Il principio infatti non tiene conto della posizione geografica degli individui coinvolti, quindi non possiamo discriminare un individuo sulla base del fatto che si trova lontano da noi, così come non possiamo discriminare sulla base della razza, del sesso o della specie.
McGinn però non trova le argomentazioni di Singer del tutto convincenti, dato che queste ci porterebbero a sacrificare non solo qualcosa, ma quasi tutto ciò che rende significativa la nostra vita: «un modo in cui potrei prevenire una gran quantità di sofferenza nel Terzo Mondo sarebbe di non consentire a mio figlio di frequentare il college, condannandolo a una vita di risultati mancati; o potrei decidere di non assistere mai a un balletto, a una partita o a un film; o potrei evitare totalmente qualsiasi cena al ristorante».
Successivamente McGinn aggiunge che, a tal proposito, Singer ammetterebbe il valore intrinseco di ciò che si è menzionato sopra, ma si tratterebbe comunque di un valore non comparabile alla sofferenza che potrei evitare rinunciandovi. Secondo McGinn l’esigente principio difeso da Singer, imponendo a ciascuno di noi di appianare il grado di sofferenza nel mondo, non è affatto auto-evidente:
E infatti: perché mai dovrei andare in giro per il mondo a rendermi tanto sofferente quanto soffrono gli altri? Perché, per esempio, dovrei cedere tutti i miei soldi ai mendicanti di New York City fino a che non ci sia nessuno che stia peggio di me? In base a quale idea dovrei farlo io, che ho guadagnato quel denaro, e loro no? Perché dovremmo agire così al fine di equiparare la sofferenza nel mondo?
Solo un utilitarismo imparziale potrebbe sostenere tale tesi: che tutti abbiamo l’obbligo di massimizzare il benessere generale e minimizzare il malessere. Per McGinn però tale posizione è del tutto indifendibile, anche a causa delle conseguenze singolari che sorgerebbero dalla sua adozione.
Si potrebbero fare molti esempi ma esaminiamone uno solo tra quelli che McGinn fornisce: un nostro conoscente, giocatore d’azzardo irresponsabile, sta perdendo tutti i suoi soldi e noi potremmo aiutarlo passando alcune ore in un pub conversando un po’ con lui. Questo per noi significherà trascurare la nostra famiglia e non poter concludere la tesi di laurea alla quale lavoriamo durante la sera. Rimane tuttavia, dal punto di vista del principio di Singer, che la nostra perdita non è superiore alla perdita che subirà il nostro conoscente se continuerà a giocare d’azzardo.
Ma la nostra vita dovrebbe ridursi a un mezzo per soddisfare i desideri altrui? Dovremmo fare questo sacrificio? McGinn risponde di no perché, riferendosi sempre al nostro conoscente che gioca d’azzardo, «la verità è che il suo gioco d’azzardo non è un “tuo problema”, anche se tu potresti effettivamente aiutarlo a superare il suo»; in effetti «dietro di lui, potrebbe esserci una lunga serie di simili giocatori d’azzardo, tutti in attesa che tu li distragga dalle loro abitudini, mentre tu vai vivendo una vita impoverita e tediosa parlando con queste persone in orribili pub (la questione sarebbe diversa, certamente, se tu, in qualche modo, fossi responsabile della loro cattiva abitudine)». Questo è un contro-esempio del principio che Singer difende, e rispetto al quale McGinn scrive: «è plausibile ritenere che un siffatto principio sia soltanto un principio di azione prima facie: dovresti alleviare la sofferenza se tu, facendolo, non soffri altrettanto, a meno che non vi siano ragioni che hanno la precedenza su questo obbligo prima facie». E in effetti McGinn afferma che ci sono molte ragioni che hanno la precedenza. Il problema è vedere se il caso dei poveri lontani da noi rappresenta una di queste ragioni.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Per una bioetica globale: povertà e responsabilità morale in Peter Singer

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Informazioni tesi

  Autore: Virginia Toto
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Palermo
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Luciano  Sesta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 77

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