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La costruzione dell'Europa tra essere e avere

L'invisible power e la volontà comune

Il motto dell'Unione, che era stato inserito nella Carta costituzionale e poi eliminato nel Trattato di Lisbona, recitava: "Unità nella diversità". Questo é e deve essere il punto di partenza della riflessione europea, sebbene sia stato cancellato, esso deve rimanere impresso nelle discussioni e nelle menti di coloro che discutono sul presente e sul futuro dell'Unione. Nessuno desidera un'Europa omogenea, standardizzata e uguale da Aberdeen a Palermo, ma un'Europa varia e variabile che mantenga i propri connotati e le proprie identità regionali e nazionali, nel rafforzamento però e non nella critica e nella delegittimazione di una comune identità europea.

La diversità é la forza dell'identità che stiamo costruendo: un'identità che é ancora debole, nascosta e trascurata, ma che esiste, memore della propria storia e della propria cultura, delle proprie radici, che i popoli europei hanno sviluppato.

L'Europa della diversità si basa sulla concordia della società civile, sul rispetto, sulla tolleranza e sull'affermazione di principi e valori che ritroviamo nelle nostre istituzioni e nella Carta dei diritti fondamentali, sul "comun diritto" di mazziniana memoria; sulla solidarietà sociale, sulla repulsione per la guerra come strumento di politica estera, sullo sviluppo equilibrato, sulla coscienza ambientale contraria allo spreco delle risorse, sulla laicità e sul primato della giustizia civile, sulla democrazia rappresentativa e sullo Stato liberale.
Sebbene sia un organismo politico incerto, non ancora stabile, sebbene i suoi fini e i suoi obiettivi non sono ancora precisati, l'Ue con i suoi valori e con la sua coscienza democratica, ha un "power of attraction" irresistibile per i paesi che circolano nella sua orbita, non solo per coloro che sono già nell'Ue e che sono destinati e entrarvi, ma anche per i paesi limitrofi della regione centro-asiatica e del Nord Africa. E ha appunto questo potere attrattivo perché i suoi valori e i suoi principi (quelli democratici in primis) sono visti come dei valori a cui tendere, e perché la sua situazione sociale e di benessere rappresenta un sogno per coloro che ne sono fuori.

Come é stata definita, é il modello dell'Europa "post moderna e Kantiana". Kantiana perché ricerca il conseguimento dei propri obiettivi non con l'uso della forza, dell'hard power, ma perché mira a un mondo e a una società regolata da leggi e regole e alla cooperazione e ai negoziati con gli altri Stati, sul modello della "pace perpetua" del filosofo tedesco. Postmoderna perché non si tratta di un superstato unitario, di una potenza alla cui base si trova un'identità forte e diffusa. E' l'European dream che si contrappone all'American dream del secolo scorso: tant'é che in opposizione al modello kantiano-europeo gli Stati Uniti sono definiti "Hobbesiani", poiché perseguono i loro obiettivi ricorrendo all'uso della forza, tentando di porre fine all'anarchia hobbesiana mondiale con la strategia della potenza .
L'Europa del terzo millennio, nonostante le sue contraddizioni sta diventando un modello, culturale e politico, (si vedano i tentativi di unione, come quella africana, che si ispirano alla costruzione europea) ma sembra che i soli a non accorgersene siano gli Europei. Lo scrittore argentino Borges in un'intervista rilasciata a Folco Quilici paragonava l'Europa ad un bosco: mentre gli altri che sono all'esterno riescono a distinguerla e a descriverne i connotati gli Europei confusi al suo interno vi si perdono. Lo scetticismo che si aggira oggi in alcune parti dell'opinione pubblica da un lato non aiuta il processo di integrazione continentale, ma dall'altro testimonia uno stato di profonda diffidenza se non di rigetto nei confronti delle istituzioni europee. I problemi di fondo rimangono la distanza che intercorre tra i popoli e Bruxelles, accusata di eccessiva burocratizzazione, ma soprattutto l'impossibilità di vedere l'Ue attiva come protagonista sia nelle politiche continentali sia nelle relazioni internazionali.

Troppo spesso sono ancora gli Stati nazionali a dirimere le questioni più importanti, e il Consiglio europeo, invece di garantire sia le istanze nazionali che quelle sovranazionali, rimane un vertice di potenti che discutono e dibattono come in una partita a scacchi su come dividersi i benefici. La questione del "deficit democratico" rientra in questo ambito: l'opinione pubblica vorrebbe essere più partecipe e indirizzare in qualche modo la linea politica di Bruxelles, richiedendo una maggiore integrazione nella politica estera, nelle politiche economiche a favore della crescita e contro la disoccupazione, un ruolo attivo nella definizione dei valori umanistici e nella loro difesa nel mondo, allo stesso tempo anche la capacità di decidere sul modello di Europa che si desidera e sui suoi allargamenti, mentre tutte queste questioni rimangono sui tavolini dei governi nazionali.
Lo stesso Parlamento europeo, simbolo della rappresentatività del popolo, nonostante il rafforzamento dei suoi poteri grazie all'ultimo Trattato, deve ancora dividere il potere legislativo con il Consiglio, che spesso gli si contrappone. Basti ricordare il Progetto di trattato ad opera di Spinelli nell'84, accettato dalla maggioranza del Parlamento e abbandonato poi dai governi.

Ciò che l'opinione pubblica vorrebbe é un'Unione con istituzioni snelle, più comprensibili, che dialoghino e interagiscano tra loro, con procedure veloci e facilmente applicabili da tutti; Trattati non illeggibili e trasparenti, governi che deleghino alcuni poteri in campi strategici fondamentali per la coesione continentale e soprattutto la possibilità di far sentire la propria voce non solo tramite dei referendum a giochi fatti: non un "Super stato europeo" centralizzato, ma una federazione, (termine che di per sé non implica la cancellazione degli Stati nazionali come ha ribadito lo stesso Napolitano nella sua Lectio magistralis) composta da Stati e popoli uniti e coesi.

L'Europa ha bisogno, a nostro avviso, di un organismo federativo che mantenga i confini nazionali degli Stati, ancora troppo forti per poter esser cancellati, Stati che però, a loro volta, devono essere pronti a cedere la loro sovranità in settori strategici come la politica estera, di difesa, nella politica monetaria ed economica. Bisogna risolvere il problema della partecipazione e della mancanza di entusiasmo dei cittadini alla costruzione europea, renderli soggetti attivi, magari con un governo europeo eleggibile dagli stessi o con un Parlamento più politicizzato. Il presidente della Commissione, ad esempio, e i suoi membri potrebbero venir scelti dai cittadini a seconda dei loro programmi politici, potenziando quest'organo e diminuendo i poteri del Consiglio Europeo. Bisogna evitare che Bruxelles diventi una capitale di tecnocrati e da emblema della burocrazia continentale si trasformi invece nel foro in cui si dibatta la questione europea.

Per far ciò, sempre citando Napolitano e il titolo della sua Lectio é necessario: "sciogliere l'antico nodo di contrastanti visioni del progetto europeo e far emergere una nuova volontà politica comune".

Questo brano è tratto dalla tesi:

La costruzione dell'Europa tra essere e avere

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Informazioni tesi

  Autore: Alessio Santi
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Macerata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filologia moderna
  Relatore: Carlo Pongetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 119

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