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La maschera nelle avanguardie teatrali del Novecento

Lecoq vs. Fo: due mimi a confronto

L'importanza di Lecoq nell'ambito della pedagogia teatrale non è legata esclusivamente all'insegnamento dell'utilizzo della maschera neutra, ma anche all'impegno messo nell'educazione dell'uso del corpo e dell'espressione fisica, con particolare attenzione alle tecniche del mimo, il quale, con il maestro francese, abbandona il palcoscenico per continuare ad esistere soltanto all'interno della scuola, come fondamento di un training teatrale completo.

La preparazione corporale, che insieme a quella vocale, all'acrobazia drammatica e all'analisi del movimento, confluisce nel secondo asse della pedagogia di Lecoq, ossia la tecnica dei movimenti, “non mira a raggiungere un modello corporeo, né a imporre forme teatrali preesistenti. Deve aiutare ciascuno a raggiungere la pienezza del movimento giusto, senza che il corpo sia 'di troppo' e infesti ciò che deve trasportare”.

Questo insegnamento giunge in Italia nel 1948, con l'arrivo di Lecoq a Padova, in seguito all'invito di Gianfranco De Bosio e di Lietta Papafava, allievi della scuola dell'Éducation par le jeu dramatique presso la quale il maestro francese insegna educazione corporale. Qui rimane per tre anni, lavorando presso il teatro dell'Università di Padova ed entrando in contatto con la Commedia dell'Arte e con Amleto Sartori, creatore della maschera neutra e di altre maschere che Lecoq utilizzerà nella scuola che fonderà in Francia al suo ritorno.

Nel 1951 lascia Padova e si reca a Milano, dove lo aspettano Giorgio Strehler e Paolo Grassi, i fondatori del Piccolo Teatro, al fine di creare con lui la Scuola del Piccolo. Questa esperienza si rivela fruttuosa sia per gli allievi che per il maestro francese il quale, come evidenzia Marco De Marinis in Mimo e teatro nel Novecento32, si allontana progressivamente dal mimo stereotipato al quale è abituato per tendere man mano ad un mimo più libero dai formalismi estetici, come quello portato in scena dagli attori del Piccolo Teatro di Milano.

Di particolare importanza è l'incontro con Dario Fo con il quale, insieme a Franco Parenti (attore del Piccolo), Giustino Durano (attore e cantante) e Fiorenzo Carpi (compositore delle musiche del Piccolo), collabora per la realizzazione di due riviste: Il dito nell'occhio (1953) e I sani da legare (1954), delle quali cura l'impostazione mimico gestuale.

Questa esperienza consente al giovane Dario Fo di approfondire una questione che gli sta molto a cuore e che diventa uno degli elementi centrali della sua poetica: l'espressività corporale. Ma non solo, da Lecoq comprende come usare in chiave comica i suoi difetti (come, ad esempio, il naso pronunciato, gli occhi sgranati e la dentatura equina), come controllare i muscoli nell'espressione; impara a valorizzare lo spazio scenico, apprende i diversi tipi di risata, le gags e, soprattutto, impara la sintesi gestuale, come rendere il gesto pulito, al fine di trasmettere un'idea precisa.

Il rapporto di collaborazione, nonché di stima e di amicizia, che si è creato tra Lecoq e Fo non è però del tutto privo di forti discussioni in merito al metodo di insegnamento del maestro francese, il quale si preoccupa principalmente di fornire le basi di una buona educazione corporale e gestuaria, lasciando agli allievi la libertà di decidere dove e come applicarla. La tendenza di Lecoq a separare la tecnica dal contesto ideologico, morale e drammaturgico porta i suoi allievi ad essere tutti uguali, “attori-mimi senza elasticità mentale, robot svuotati, privi di un'autentica sensibilità e, ancora peggio, senza personalità”.

Commenta Dario Fo: “[alla scuola di Jacques Lecoq, n.d.r.] si impara come respirare, come sviluppare anche emotivamente il linguaggio del corpo... ma ci si dimentica della parola, del suono e del suo effetto. Ognuno di loro non sa come impostare la voce, come prendere i respiri […] Per di più, agli allievi non ci si preoccupa di spiegare perché si debba scegliere un determinato gesto piuttosto che un altro... e la conseguenza è la mancanza di uno stile specifico”.34 Secondo Fo è certamente importante studiare ed esercitare il proprio corpo, ma non bisogna dimenticare di lasciarlo libero di esprimersi secondo le proprie inclinazioni.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La maschera nelle avanguardie teatrali del Novecento

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Informazioni tesi

  Autore: Sabrina Aiale
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Linguaggi Multimediali e Informatica Umanistica
  Relatore: Lorenzo Mango
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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