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Alcune considerazioni storiche sugli approcci al problema della psicopatologia.

La teoria dell’Antipsichiatria

La diffusione delle idee psicoanalitiche prima e in seguito nuove discipline, come la filosofia fenomenologica, la sociologia, e la psicologia sociale, contribuirono grazie a R. Laing e D. Cooper alla nascita, nei primi anni sessanta, del movimento dell’Antipsichiatria. Il movimento era in prima linea per la chiusura dei manicomi ed era contrapposto per idee, soluzioni e spiegazione della malattia mentale alla psichiatria tradizionale.
I suoi principali esponenti furono: in Inghilterra Laing e Cooper, in Francia M. Foucault, in Italia F. Basaglia e negli stati uniti T. Szasz.
L’Antipsichiatria era basata su un concetto di violenza, alla quale il malato mentale sarebbe sottoposto nei suoi contatti sociali sin dalla più tenera età.
La famiglia, innanzitutto, era ritenuta il luogo dove venivano inibite le potenzialità del bambino e dell’adolescente, per creare nuovi sudditi del potere. Secondo il movimento coloro che volevano uscire da questo sistema di mediocrità e di mortale ubbidienza , diventando cittadini liberi, erano considerati dei nevrotici o pazzi.
La follia sarebbe dovuta a una forma di trasgressione alla norma sociale, anche quando si esprimeva attraverso l’originalità e la genialità.
L’antipsichiatria accusava la scienza ufficiale di trascurare l’origine sociale dei disturbi psichici, per concentrare la sua attenzione sulla malattia individuale e sulle sue basi organiche.
La psichiatria tradizionale veniva ritenuta una funzione necessaria perché il sistema sopravvivesse, con l’esclusione definitiva di tutti i devianti dalla vita sociale, mediante l’istituzionalizzazione.
Le cure che venivano somministrate in quel tempo nei manicomi (dosi eccessive di psicofarmaci, medicinali in fase di sperimentazione, elettroshock e metodi costrittivi), erano considerate forme di violenza sociale su persone fragili, perpetrata da parte della famiglia e della società, per aver rifiutato di adeguarsi al conformismo sociale.
L’Antipsichiatria, invece, sosteneva che il trattamento del malato doveva essere effettuato attraverso interventi psicoterapeutici e politico-sociologici, che miravano a suscitare in lui la presa di coscienza della propria sofferenza e collegava la prevenzione ad un rinnovamento del sistema sociale. Essa intendeva tutelare i diritti del paziente, lasciarlo libero di esprimersi e di reinserirsi nell’ambiente sociale. I manicomi, pertanto, considerati centri di poteri e di accordi clientelari, dovevano essere chiusi.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Alcune considerazioni storiche sugli approcci al problema della psicopatologia.

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Informazioni tesi

  Autore: Cesare Muntoni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Scienze e tecniche psicologiche
  Relatore: Vincenzo Bongiorno
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 90

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