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Antagonismo giovanile e subculture devianti: movimenti punk ed emo a confronto.

La teoria della subcultura

I sostenitori di questa corrente ritengono che le divergenze tra struttura sociale e culturale non possano essere motivo sufficiente per spiegare il motivo per cui gli individui non rispettano le norme sociali.
Sia la devianza che la conformità sono caratteri appresi nell’ambiente in cui si è inseriti: se un individuo cresce in una subcultura di tipo criminale, assimilerà valori diversi rispetto alla società generale.
Questa tesi fu elaborata da alcuni teorici appartenenti alla scuola di Chicago: essi condussero una ricerca sulla città e scoprirono che in alcune aree vi erano maggiormente diffusi valori favorevoli verso certe forme di devianza, valori che venivano appresi mediante l’interazione con gli altri.
Anche in Sutherland, il più autorevole esponente di questa teoria e uno tra i più noti criminologi del secolo scorso, la devianza viene appresa dall’individuo mediante la comunicazione con gli altri del gruppo. Ci si conforma all’ambiente in cui si è inseriti, e se in esso prevalgono forme di devianza, si commettono i reati per conformarsi alle aspettative dell’ambiente. In questo caso, non è più il singolo individuo a deviare, ma l’intero gruppo a cui appartiene, e le norme violate non sono quelle del gruppo, ma quelle della società al di fuori di esso.
Secondo questo suo punto di vista, il comportamento deviante è quindi l’esito di un apprendimento, non viene ereditato, tantomeno inventato dall’individuo. Questo processo di apprendimento avviene attraverso l’interazione tra l’attore ed altre persone, in particolare in gruppi intimi e di piccole dimensioni, dove ai codici legali può essere data una diversa definizione. L’individuo che diventa membro di quel gruppo, finirà per condividere la definizione delle leggi in senso positivo o negativo, diventando delinquente allorché le definizioni favorevoli alla violazione di una norma prevalgono rispetto a quelle sfavorevoli (Sutherland, 1987).
Albert K. Cohen riprende la prospettiva teorica di Merton e sviluppa la teoria subculturale della devianza. Egli sottolinea il carattere adattivo svolto dalla cultura.
Nelle sue riflessioni, non solo il comportamento deviante, ma l’intero agire umano, è accompagnato da uno sforzo continuo finalizzato alla soluzione di problemi di varia natura. Le soluzioni a detti problemi sono incanalate da una spinta esterna verso l'uniformità; una soluzione è considerata valida, nella misura in cui riesce ad ottenere consenso sociale. Tuttavia, se i modelli culturali di una data società non sono in grado di fornire all’individuo una risposta adattiva alla soluzione dei suoi problemi, in esso possono scatenarsi reazioni negative, quali risentimento, colpa, angoscia, e disperazione. Nel momento in cui un insieme di individui sperimentano contemporaneamente questo tipo di condizione, per affrontare i loro problemi di adattamento, possono aggregarsi e cercare una soluzione comune. Un sistema subculturale che si sviluppa secondo questa modalità, svolge quindi una funzione adattiva per i suoi membri, soddisfandone determinati bisogni, che i modelli culturali della società più ampia a cui appartengono non sono in grado di risolvere. In Cohen, l’intensità dei comportamenti devianti sono strettamente legati all’appartenenza di classe (Cohen, 1955).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Antagonismo giovanile e subculture devianti: movimenti punk ed emo a confronto.

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Informazioni tesi

  Autore: Cinzia Falcade
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Padova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze sociologiche
  Relatore: Claudio Riva
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 76

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Parole chiave

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